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Documento «svizzero» per la pace in Israele

La Svizzera è impegnata ad abbattere il muro della diffidenza tra israeliani e palestinesi Keystone

Un patto di portata simbolica fra Israele e la Palestina dovrebbe venir sottoscritto il 4 novembre a Ginevra.

Il documento è stato discusso nel week end in Giordania. La Svizzera ha sostenuto finanziariamente il nuovo tentativo di raggiungere la pace.

La scorsa fine di settimana esponenti politici palestinesi e israeliani si sono incontrati in Giordania. Luogo dell’incontro: un albergo della catena svizzera Mövenpick. La scelta non è casuale, è infatti la diplomazia svizzera che ha sostenuto logisticamente l’incontro.

Il Dipartimento degli affari esteri svizzero (DFAE) non vuole rilasciare ulteriori commenti sul caso. Evidentemente si tiene alla riservatezza sull’operazione che ha ancora un esito incerto. Solo dopo numerosi articoli della stampa israeliana, anche a Berna si è ammesso il contributo a questo ulteriore tentativo di pacificazione.

Daniela Stoffel-Fatzer, portavoce del Dipartimento degli affari esteri (DFAE), ha confermato a swissinfo: «Il DFAE ha sostenuto l’incontro in Giordania, dove si è lavorato ad un accordo fra le parti. Il testo si avvicina nelle sue linee all’accordo di Camp David del 2000».

Concretamente si prevede la restituzione del 95% dei territori occupati nel 1967, durante la Guerra dei sei giorni. In particolare, sarebbe compreso anche l’est di Gerusalemme. I palestinesi rinuncerebbero in contropartita al ritorno dei profughi.

Le agenzie stampa affermano inoltre, rifacendosi a fonti palestinesi, che il 4 novembre i due governi firmeranno un ulteriore accordo per fermare la violenza. L’incontro sarebbe previsto a Ginevra.

Diplomazia dei «buoni servizi»

Con queste rivelazioni, si conferma dunque ancora la volontà della diplomazia elvetica di sostenere una politica attiva a favore della pace nella valle del Giordano.

Concretamente la Svizzera si sarebbe limitata ad offrire le condizioni quadro per portare avanti i dibattiti in gran segreto. Così la Confederazione ha finanziato gli incontri delle delegazioni.

Non si tratterebbe in questo caso di un incontro isolato, le delegazioni si sarebbero incontrate più volte. L’azione è stata gestita direttamente dalla centrale di Berna, mentre le ambasciate elvetiche a Tel-Aviv e Amman avrebbero solo conosciuto per sommi capi il procedere della ministra degli esteri Micheline Calmy-Rey.

Già due dei suoi predecessori, Flavio Cotti e Joseph Deiss, avevano a più riprese tentato di avvicinare le parti. Secondo l’esperto di Medio Oriente, Pascal de Crousaz, sono proprio gli sforzi degli ultimi anni «ad aver facilitato questo ulteriore incontro, dopo l’esperienza di Ginevra del 2000».

Questo successo ribadisce il ruolo dei piccoli paesi nella promozione di accordi di pace, come era avvenuto nel 1993 a Oslo, dove – grazie alla mediazione norvegese – era stata sancita la nascita dell’Autorità nazionale palestinese e il capo carismatico dell’OLP Arafat aveva potuto tornare in patria dall’esilio tunisino.

Percorso spinato

Ma sciogliere la matassa del conflitto insanguinato non è facile, soprattutto da parte israeliana. Non solo Israele continua a tollerare gli insediamenti e a costruire il muro che separa i due paesi. L’accordo incontra reticenze importanti a livello politico.

Il risultato che si delinea avrebbe diviso l’opposizione laburista, mentre dal Likud, partito al governo le voci sono poco confortanti. In un’intervista ad un giornale israeliano, l’ex-premier Ehud Barak ha definito il «documento svizzero» semplicemente «irresponsabile».

L’ex-primo ministro laburista e premio Nobel per la pace insieme a Rabin, Shimon Peres, non si è ancora espresso sul testo. Secondo gli osservatori non confida nella realizzabilità degli intenti. Il testo definitivo dovrebbe poi essere distribuito a tutti gli abitanti della regione.

swissinfo e Serge Ronen, Gerusalemme

L’impegno elvetico per ridare slancio al processo di pace in Medio Oriente non è nuovo. Come depositaria delle Convenzioni di Ginevra, la Svizzera difende nella sua politica estera i diritti della popolazione civile.

Nel caso specifico, si vogliono promuovere delle misure che proteggano la popolazione civile dei territori occupati in Cisgiordania che dall’accordo di Oslo del 1993 dispongono di un’autonomia limitata.

Da allora a Berna si sono succeduti tre ministri degli esteri che hanno a più riprese cercato di sostenere la ripresa del dialogo. La mancata collaborazione da parte israeliana non ha permesso di impiegare i «buoni servizi».

Alcuni contrattempi diplomatici, fra cui l’arresto di agenti dei servizi segreti israeliani in Svizzera, ma soprattutto il principio di sostegno all’autodeterminazione della popolazione palestinese, hanno raffreddato il clima.

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