Italia al voto
Il futuro della politica italiana passerà da elezioni anticipate. Dopo lo scioglimento delle camere, il Consiglio dei ministri ha fissato per il 13-14 aprile la data del voto nazionale.
Sullo sfondo di una legge elettorale che fa discutere, la sfida elettorale vedrà probabilmente coinvolti il centro-destra di Silvio Berlusconi e il neo Partito Democratico di Walter Veltroni.
Proprio a Giorgio Napolitano, il capo dello Stato che ha tanto insistito per un confronto costruttivo tra maggioranza e opposizione, è toccato decretare la fine della più breve legislatura nella storia della Repubblica italiana.
Quando, dandone l’annuncio, il presidente ha espresso il suo «rammarico», nessuno ha potuto dubitarne, anche perché va ben oltre il semplice sentimento personale.
In gioco c’è infatti la stabilità di un paese in cui si è sempre più gonfiato il vento dell’antipolitica, la disaffezione nei confronti delle istituzioni, il sospetto verso la cosiddetta “casta”.
La legge elettorale? Una porcata
Il fatto è che il cittadino tornerà alle urne il 13-14 aprile sulla base della peggiore legge elettorale degli ultimi 60 anni, gli anni della Costituzione italiana. Una legge architettata dall’ultimo governo Berlusconi anche per imbrigliare l’annunciata vittoria del centro-sinistra nella primavera di due anni fa.
In sostanza e in sintesi: il premio di maggioranza a livello nazionale per la Camera, ma a livello regionale per il Senato. Risultato: una maggioranza risicatissima per il vincitore alla Camera alta.
Non solo: liste bloccate e senza possibilità di preferenze da parte degli elettori e uno sbarramento bassissimo che ha favorito il proliferare dei cosiddetti “cespugli”, cioè dei piccoli o piccolissimi partiti.
Mini-schieramenti in grado comunque di tenere sotto ricatto la maggioranza. E infatti il governo Prodi è rovinosamente caduto sotto il…peso dell’UDEUR (Unione Democratici per l’Europa, partito di centro ispirato a valori cristiano-democratici) di Clemente Mastella, l’ex ministro della giustizia indagato insieme alla moglie e a una ventina di esponenti campani del suo partito.
Un peso equivalente all’1,4 per cento dei voti ottenuti dall’UDEUR nell’ultima consultazione. Una situazione senza paragoni nelle democrazie occidentali. E una legge elettorale che il suo stesso estensore, il leghista Calderoni, ha definito, letteralmente, «una porcata».
I politici di Fellini
Naturalmente la crisi del centro-sinistra ha radici meno “tecniche” e più politiche. Benché Romano Prodi si sia sempre definito «un direttore d’orchestra più che un solista», e nonostante la sua costante opera di paziente mediatore, è risultata impossibile l’impresa di cementare una decina di schieramenti ideologicamente tanto diversi: dai centristi liberali alla Dini ai post-comunisti radicali alla Diliberto, passando dai moderati laici a quelli sensibili ai richiami del Vaticano sui temi di etica, aborto, famiglia.
Il tutto impastato da una rissosità, da uno scontro continuo e pubblico, che ha reso gli “orchestranti” di Prodi del tutto simili a quelli, caotici e in rivolta, del famoso film di Federico Fellini.
Ma anche in questo, a ben guardare, la legge elettorale vigente ha una sua parte: sprona infatti i leader di tutti gli schieramenti di una coalizione, e soprattutto i meno robusti, a garantirsi una visibilità esasperata, continua, e ritenuta indispensabile per posizionarsi in vista di prossime scadenze elettorali.
Un paese depresso
In generale, e dovendo operare in queste condizioni, per molta parte della stampa estera a Roma il secondo governo Prodi ha fatto meglio di quanto lascerebbe intendere la sua cattiva immagine e la sua impopolarità.
Miglioramento dei conti pubblici riconosciuto anche a livello internazionale, consistente riduzione del deficit primario, avvio delle liberalizzazioni, lotta all’evasione fiscale (male endemico in Italia), accordo sul welfare sottoscritto da milioni di lavoratori, nuovo sistema pensionistico che ora il centro-destra dice di non voler ritoccare, mantenimento della promessa di ritiro dall’Iraq, impegno confermato in Afghanistan, nazione leader nella missione di pace in Libano.
Non è poco, ma non è bastato. Anche e soprattutto perché non c’è stata sufficiente crescita economica, gli aumenti di molti prodotti (anche di prima necessità) hanno alleggerito il portafoglio di tante famiglie, il precariato è sempre più diffuso, e, secondo gli ultimi dati della Banca d’Italia, i salari dei lavoratori dipendenti sono fermi da ben sette anni, mentre sono cresciuti del 16 per cento quelli degli autonomi.
Un insieme di fattori che fa dell’Italia «un paese depresso», come ripetono molti giornali anglosassoni. E non ha certo aiutato la cosiddetta «emergenza rifiuti», le cui immagini hanno fatto il giro del mondo. Uno scandalo che in realtà chiama in causa tutta la classe politica italiana, anche se con maggiori responsabilità per gli amministratori locali di centro-sinistra.
Il ritorno del cavaliere?
Falliti i tentativi di “spallata”, a Silvio Berlusconi è bastato aspettare l’implosione della maggioranza.
La crisi di governo, i sondaggi favorevoli, il profumo di rivincita, la prospettiva di rioccupare la stanza dei bottoni hanno poi miracolosamente cancellato tutte le critiche, anche molto aspre, che fino a un paio di mesi fa gli rivolgevano i suoi alleati, allarmati anche dall’iniziativa con cui il “cavaliere” aveva annunciato la liquidazione della Casa delle Libertà e la nascita di un nuovo partito.
Bisognerà vedere se dietro questo ricompattamento, e in vista dell’appuntamento elettorale, emergerà anche un’elaborazione e una coesione di programma alternativo che nell’ultimo anno e mezzo sono del tutto mancati al centro-destra.
Veltroni come Obama
Ma è soprattutto sull’altro fronte che le elezioni anticipate vengono vissute con grande preoccupazione. Ormai il centro-sinistra non esiste più, non in questa fase pre-elettorale.
Il neo Partito Democratico (PD) di Walter Veltroni ha infatti deciso di «correre da solo»: nessuna coalizione, nessuna intesa, e mani libere soprattutto nei confronti della sinistra alternativa. La strategia del sindaco di Roma (carica che Veltroni sarà comunque costretto a lasciare se vuole candidarsi alle Camere) punta dunque a uno schieramento omogeneo, in netta discontinuità con l’esperienza fatta da Romano Prodi.
Tutti i sondaggi confermano che la «via solitaria» è quella che può garantire al PD un «contenimento» della sconfitta o addirittura un rovesciamento della tendenza oggi favorevole al fronte berlusconiano.
Bisognerà vedere se il nuovo partito avrà tempo sufficiente per organizzarsi, e per collaudare la convivenza delle sue diverse anime dopo la saldatura tra gli eredi di Berlinguer e quelli di don Sturzo.
Storie e percorsi diversi confluiti nel «partito leggero, all’americana» su cui punta Veltroni, un estimatore dell’esperienza kennediana, che ha infatti scelto lo slogan «Yes, we can», «ce la possiamo fare». Slogan guarda caso “rubato” al candidato democratico delle primarie statunitensi Barak Obama.
swissinfo, Aldo Sofia, Roma
Durante il governo Prodi, tre italiani residenti in Svizzera hanno fatto parte del parlamento (Circoscrizione Estero – Ripartizione Europa).
Il neocastellano Claudio Micheloni è stato eletto in Senato (Unione), mentre l’argoviese Franco Narducci (Unione) e il lucernese Antonio Razzi (Italia dei valori) hanno seduto nella Camera dei deputati.
Nel 2006, in occasione delle ultime elezioni legislative, gli italiani all’estero hanno avuto per la prima volta la possibilità di eleggere i loro parlamentari.
Il loro voto si è rivelato determinante, in particolare per consegnare il senato al centro-sinistra.
Gli italiani residenti all’estero iscritti negli elenchi elettorali erano allora 3’520’809.
In Svizzera i cittadini italiani (compresi coloro che hanno la doppia cittadinanza) sono 505’104 e costituiscono la maggiore comunità straniera.
Gli elettori iscritti in Svizzera sono 374’680.
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