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Regolarizzazione collettiva dei “sans-papiers”?

Un'immagine di archivio di una manifestazione di clandestini a Basilea Keystone

La situazione dei clandestini che non dispongono di un permesso di soggiorno è difficile per le persone toccate ma anche per la società.

Per risolvere il problema Caritas Svizzera ha presentato una serie di proposte fra cui spicca la regolarizzazione collettiva dei “sans-papiers”.

“Il problema dei clandestini in Svizzera – da 70’000 a 180’000 – non è ancora stato risolto”, ha spiegato martedì durante una conferenza stampa Jürg Krummenacher, direttore di Caritas Svizzera.

L’organizzazione umanitaria ha scelto un momento propizio per lanciare una serie di proposte che dovrebbero permettere di venire a capo del delicato problema.

Il Parlamento si sta infatti occupando della revisione della legge sugli stranieri, di quella sull’asilo e della legge contro il lavoro nero.

Un provvedimento per tutti

Caritas chiede una regolarizzazione collettiva di tutti i clandestini, ad eccezione dei candidati all’asilo che dovranno sottostare anche in futuro alle procedure attualmente in vigore per i casi umani difficili.

Per quanto riguarda i “sans-papiers” Confederazione e cantoni avevano optato sempre per questa variante “umanitaria”. Secondo Caritas una strategia discutibile che serve a risolvere solo pochi casi.

A questo proposito l’organizzazione ricorda che dal dicembre del 2001 l’applicazione delle norme di legge attuali ha permesso di regolarizzare la posizione di sole 500 persone.

Inoltre – sottolinea Caritas – ogni cantone ha un’altra prassi. Secondo le statistiche sui casi difficili fornite dalla Confederazione, dal settembre 2001 al marzo 2003 sono stati presentati 364 dossiers.

Solo 14 cantoni li hanno però trasmessi alla Confederazione. Il 90% degli incartamenti proveniva dai cantoni di Ginevra, Vaud, Berna, Friburgo e Neuchâtel. Praticamente assente, quindi, la Svizzera tedesca.

Imparare dall’estero

Caritas motiva la richiesta di regolarizzazione collettiva con i successi registrati in questo campo all’estero.

Molti Stati europei, fra cui l’Italia e il Belgio, si sono resi conto che il problema del soggiorno illegale di clandestini in un Paese può essere risolto mediante una regolarizzazione collettiva della loro situazione.

Un passo che potrebbe essere fatto nell’ambito della revisione totale della legge svizzera sugli stranieri.

Caritas cita come criteri per una regolarizzazione l’assenza di reati gravi nel curriculum del clandestino, un soggiorno in Svizzera di almeno quattro anni e la garanzia di potersi mantenere da soli.

Questi criteri permetterebbero di regolarizzare lo statuto di buona parte dei clandestini, secondo Caritas.

Lotta al lavoro nero

L’organizzazione umanitaria propone pure di colpire in modo più severo i datori di lavoro che impiegano illegalmente personale straniero o svizzero.

Lo sfruttamento di persone che non dispongono di permessi di soggiorno in regola è infatti da evitare a livello politico ed economico ed è riprovevole anche dal punto di vista morale.

swissinfo e agenzie

Da 70’000 a 180’000 i clandestini in Svizzera
In 2 anni sono stati presentati a Berna per essere regolarizzati solo 364 dossiers
Le norme attuali hanno permesso di regolarizzare solo 500 persone

I “sans-papiers” sono persone che non dispongono di un permesso di soggiorno in Svizzera e che quindi legalmente non hanno la possibilità di lavorare o di studiare.

Spesso hanno iniziato la loro vita in Svizzera in modo assolutamente legale finchè un cambiamento di legge (come l’abolizione dello statuto di stagionale) o una particolare situazione personale non li hanno relegati nell’illegalità.

Quando queste persone esercitano (illegalmente) un’attività lavorativa pagano tasse e versano contributi sociali dei quali non potranno mai usufruire.

Dei “sans-papiers” si era parlato molto nel 2001. All’epoca i clandestini avevano attirato l’attenzione sulla loro situazione con una serie di occupazioni di chiese e luoghi pubblici a Friburgo, Losanna, La Chaux-de-Fonds, Berna e Basilea, durate mesi.

Le Camere federali avevano semplicemente opposto un rifiuto alla proposta di aprire una discussione sulla questione, con il pretesto che si tratterebbe di un “problema regionale”.

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