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Prezzi alla produzione e all’importazione sono in calo

Keystone-SDA

(Keystone-ATS) Segnali di rallentamento del rincaro sul fronte aziendale: in settembre i prezzi alla produzione e all’importazione sono scesi dello 0,1% rispetto ad agosto.

Su base annua si regista una flessione dell’1,3%, ciò che costituisce il 17esimo arretramento consecutivo, emerge dalle informazioni diffuse stamani dall’Ufficio federale di statistica (UST).

Nel dettaglio, per quanto riguarda il dato sui soli prezzi alla produzione – che mostra l’evoluzione relativa ai prodotti indigeni – si è assistito rispettivamente a una variazione nulla mensile e un calo dello 0,2% annuo. Nel confronto con agosto sono diventati più a buon mercato soprattutto i rottami di ferro (frutto del riciclaggio e della preparazione a un nuovo utilizzo); si sono invece fatti più cari dolciumi e latticini.

Il secondo sottoindice, quello dei prezzi all’importazione, presenta un’evoluzione più marcata: risulta in sensibile calo sia il dato mensile (-0,4%) che quello in rapporto a settembre 2023 (-3,5%). Si è dovuto pagare di più – nel paragone mensile – per prodotti petroliferi, gas naturale, alluminio e caffè; prezzi in contrazione sono stati osservati invece per gli autoveicoli e i loro relativi componenti, abbigliamento, calzature, tessili, ferro, acciaio e rame.

L’indice dei prezzi alla produzione e all’importazione è un indicatore congiunturale che riflette l’andamento dell’offerta e della domanda sui mercati dei beni, spiegava tempo fa l’UST. Il dato è considerato un parametro importante per capire lo sviluppo dei prezzi al consumo (cioè l’inflazione), poiché i costi di produzione sono normalmente trasferiti sui prodotti finali. Tuttavia mostra oscillazioni significativamente più marcate ed è molto più volatile a causa della forte dipendenza dalle materie prime.

Come si ricorderà in Svizzera l’inflazione si è attestata in settembre all’1,2%, ai minimi dal 2021: si tratta di un dato in linea con l’obiettivo di stabilità dei prezzi della Banca nazionale svizzera (BNS), che l’istituto identifica in un incremento annuo inferiore al 2%, ma che certifica comunque un continuo aumento del costo di beni e servizi.

I vari attori economici che pubblicano previsioni sul tema (a titolo d’esempio Seco, Ocse, KOF, Economiesuisse, UBS, Fondo monetario internazionale e altri ancora) pronosticano che nel 2024 il rincaro si attesterà a valori compresi fra l’1,2% e l’1,7%; per quanto riguarda il 2025 le stime si muovono in una fascia fra lo 0,6% e l’1,4%. Nel 2023 l’inflazione si era attestata al 2,1%, l’anno prima al 2,8%, in forte aumento rispetto allo 0,6% del 2021 e al -0,7% (rincaro negativo) del 2020.

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