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Politici divisi sulla lotta al lavoro nero

In Svizzera il lavoro nero equivale al 5-10% del Prodotto interno lordo (PIL) Keystone

L’aumento del lavoro nero in Svizzera preoccupa il mondo politico e gli esperti del settore. Ma sulle contromisure da prendere gli spiriti si dividono.

La legge per combattere il lavoro nero resta a terra per mancanza di carburante, ovvero di unità politica.

Quando si parla di lavoro nero, all’estero la Svizzera è presa ad esempio. In paesi come la Germania o la Francia quest’economia in ombra rappresenta più del 15% del prodotto interno lordo. In altri, come la Tailandia, l’Egitto o la Nigeria, si parla addirittura del 70%. Al confronto, il 5-10% della Svizzera appare quasi insignificante.

Così come in Giappone e negli Stati Uniti, gli altri due paesi modello, in Svizzera gli interventi statali sono relativamente bassi e il numero di persone che evadono il fisco è contenuto, spiegano gli esperti.

Il problema delle economie parallele si fa più acuto laddove la differenza tra stipendio lordo e stipendio netto è alta a causa di tasse e deduzioni salariali (per esempio i contributi per le assicurazioni sociali). Un altro fattore determinante è l’eccesso di regolamentazione.

I lavoratori in nero e le imprese che li assumono non dichiarano al fisco le loro entrate, di conseguenza non pagano né tasse, né contributi per le assicurazioni sociali. Gli impiegati “invisibili” sono in balia dei loro datori di lavoro, non hanno sicurezze, non sono protetti in caso d’incidenti.

Aumenta la disponibilità a lavorare in nero

A conti fatti, per l’economia e la sicurezza sociale dei lavoratori, le attività in nero sono svantaggiose. Ne è convinta l’Unione padronale svizzera che puntualizza: «Non c’è solo il problema delle mancate entrate nelle casse del fisco e delle assicurazioni sociali. Se il 5-10% del prodotto interno lordo deriva da attività non alla luce del sole, si mette in gioco la sicurezza del lavoratore e non da ultimo si mina la solidarietà sociale, perché i lavoratori e gli imprenditori onesti devono pagare per gli altri».

Una constatazione che non frena però il costante aumento del lavoro nero in territorio elvetico. Sulla lista dei paesi aderenti all’OCSE (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico), la Svizzera fa addirittura corsa in testa per quanto riguarda il tasso di crescita di questo fenomeno.

L’Unione padronale ammonisce: il lavoro nero ha raggiunto ormai «tali proporzioni, che le conseguenze finanziarie per l’economia del paese non sono più trascurabili».

Lavoro saltuario e no

Le proposte del governo per combattere il lavoro nero sono pronte da due anni, ma il mondo politico ha difficoltà a discuterle. I membri della Commissione dell’economia (CET) del Consiglio nazionale si sono disputati in modo tanto acceso su alcune questioni che l’intero pacchetto di proposte è stato rispedito al Consiglio Federale.

Tra i punti particolarmente controversi c’è la proposta di alleggerire l’iter amministrativo per chi lavora solo saltuariamente o per poche ore la settimana.

Per l’Unione democratica di centro (UDC), la misura, pensata inizialmente per attività come le pulizie o i lavori di giardinaggio, dovrebbe essere estesa ad innumerevoli altri casi. L’UDC chiede che chiunque riceva dallo stesso datore di lavoro meno di 18’000 franchi in un anno possa fare i suoi conti in modo semplificato.

Ma quest’idea non piace ai socialisti (PS): con una tale estensione del concetto di lavoro saltuario si creerebbe un nuovo settore di impieghi a tempo parziale o mal retribuiti, assicurati in modo insufficiente. Una situazione che porterebbe dei vantaggi solo ai datori di lavoro.

Protezione dei dati per i sans papiers?

Un altro punto molto discusso riguarda l’opportunità di trasmettere da un’autorità all’altra i dati riguardanti i lavoratori in nero colti in flagrante. Si tratta di una richiesta formulata dal governo che si scontra con l’opposizione dei socialisti.

Il PS ritiene che la trasmissione automatica dei dati avrebbe delle conseguenze negative soprattutto per gli stranieri privi di documenti. Per i socialisti, chi non ha un permesso di lavoro in regola dovrebbe poter pagare i premi delle assicurazioni sociali senza essere automaticamente denunciato alle autorità di controllo degli stranieri.

Sì ad una maggiore repressione

C’è solo una proposta che mette tutti d’accordo: le sanzioni contro i datori di lavoro disonesti devono diventare più severe.

Il progetto di legge prevede multe fino a 500’000 franchi e pene detentive fino a un anno per chi viene colto in fallo una prima volta. In caso di reiterazione, la multa potrebbe arrivare ad 1 milione e la detenzione a 5 anni.

Si parla inoltre di stralciare i contributi diretti a chi impiega dei lavoratori in nero nel settore agricolo. Il governo propone anche di escludere per cinque anni dagli appalti pubblici chi ha infranto la legge.

I responsabili dei cantieri edili salutano questa proposta che contribuisce «ad una concorrenza sana». UDC e Unione padronale la ritengono invece sproporzionata. La sinistra e i sindacati chiedono multe ancora più salate.

Pochi i rischi di essere scoperti

L’Unione svizzera dei contadini ritiene superflue le sanzioni proposte. Gli agricoltori che offrono lavoro in nero rischiano già oggi la detenzione o delle multe.

Il rischio di essere scoperti però è minimo, fa notare Fritz Schober, membro della direzione dell’Unione svizzera dei contadini. In Svizzera, infatti, non ci sarebbero dei controlli a tappeto.

Inoltre i controlli alle frontiere sono talmente ridotti che «pullman di polacchi entrano in Svizzera come turisti e si offrono poi come forza lavoro». Per un agricoltore, che non riesce a trovare in modo legale dei lavoratori altrettanto a buon mercato, la tentazione di assumerli è grande.

Senza ispettori, nessun controllo

Far rispettare le leggi non è cosa facile per la Confederazione. In quasi tutti i cantoni manca un ufficio di coordinamento per la lotta al lavoro nero. Gli stranieri sono di competenza della polizia, per il lavoro notturno e domenicale entra in gioco l’Ufficio per il lavoro e l’economia, di problemi assicurativi e fiscali si occupano altri uffici ancora.

La Confederazione sembra intenzionata ad obbligare i cantoni ad allestire almeno una commissione di controllo o un ente cantonale dalle accresciute competenze in materia. Berna non può però prescrivere ai cantoni quali dimensioni debbano avere questi centri di controllo.

Si calcola che per l’insieme della Svizzera sarebbero necessari un centinaio d’ispettori, vale a dire uno ogni 35’000 impiegati.

Tasse più basse al posto degli ispettori

Oggi sono pochi i cantoni che combattono in modo sistematico il lavoro nero. Basilea città ha quattro ispettori a tempo pieno, Basilea campagna due. Nel canton Zurigo sono attivi ispettori statali e privati, incaricati di controllare particolari settori.

La maggior parte dei cantoni però non interviene. Il parlamento argoviese, per esempio, ha rifiutato in modo chiaro di rafforzare il controllo statale e di assumere degli ispettori.

L’UDC e i liberali, principali fautori del no argoviese, hanno spiegato che intensificare i controlli sarebbe stato inutile e troppo costoso. La miglior misura contro il lavoro nero sarebbe infatti «una pressione fiscale bassa».

swissinfo, Katrin Holenstein
(Adattamento dal tedesco: Doris Lucini)

Il 10-15% del prodotto interno lordo svizzero è generato da lavoro nero
30%: la quota d’Italia, Grecia, Spagna e Belgio, in cima alla lista europea

I settori dell’economia più interessati dal problema dei lavoratori in nero sono la ristorazione e l’edilizia. Seguono l’agricoltura, l’industria metallurgica, le economie domestiche, l’industria automobilistica e l’amministrazione pubblica.

Secondo le stime degli esperti, il lavoro nero priva lo stato e le assicurazioni sociali di 40 miliardi di franchi l’anno.

Il Consiglio federale vuole combattere questa piaga riducendo il carico amministrativo per i rapporti di lavoro saltuari o limitati a poche ore, come i lavori di pulizia e giardinaggio. È inoltre intenzionato ad inasprire le sanzioni per chi infrange la legge.

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