Ripetutamente disoccupato? Più di quanto si pensi.
Ci sono alcune persone che accumulano i periodi di disoccupazione, interrotti da assunzioni più o meno lunghe. “La disoccupazione ripetuta” colpisce una persona senza lavoro su due ed è un fenomeno finora ancora poco studiato.
“Quando ero bambino, avevo chiesto a mio padre che cosa fosse la disoccupazione, poiché era il tema di un telegiornale tedesco che stavamo guardando insieme. Mio padre mia aveva risposto che in Svizzera non esisteva. Oggi, conosciamo tutti qualcuno che è in disoccupazione”.
Questo aneddoto è stato raccontato a Zurigo da Urs Hofmann, ministro dell’economia del canton Argovia, nel corso della presentazione di uno studio inedito sui disoccupati che non riescono a conservare il loro posto di lavoro e tornano in disoccupazione.
La prima conclusione dello studio ha sorpreso gli stessi autori per l’ampiezza: in media il 48% delle persone alla ricerca di un impiego si è presentato all’Ufficio regionale di collocamento (URC) almeno una seconda volta nello spazio di cinque anni dopo aver ritrovato un impiego.
La maggioranza, inoltre, vi fa ritorno molto in fretta: il 24% si annuncia di nuovo alla disoccupazione dopo 6 mesi, mentre il 51% dopo un mese. Occorre tener presente che è più difficile reintegrare qualcuno che è già stato in disoccupazione, tanto più che il tasso dei disoccupati “ripetuti”, è aumentato del 30% tra il 1999 e il 2008.
Anche i quadri non sfuggono al fenomeno
Ad essere particolarmente toccate dal fenomeno sono le persone senza formazione, ma il 42% di questi particolari “recidivi”, hanno portato a termine un apprendistato, una maturità professionale o le medie. Oltre il 30% ha persino studiato in una scuola superiore.
“Sui quadri dirigenti che hanno conosciuto diversi periodi di disoccupazione, incombe la minaccia di non più trovare un lavoro”, spiega il rapporto. Gli esperti formulano la seguente ipotesi: i problemi risiedono soprattutto in “carenze più profonde” come, per esempio, la mancanza di competenze sociali.
Pressioni sempre maggiori
Analizzando le possibili cause del fenomeno, Urs Hofmann fa riferimento ai cicli congiunturali sempre più corti, all’estensione di condizioni di lavoro precarie, al lavoro su chiamata: tutte forme di lavoro che diminuiscono fortemente lo spirito di responsabilità del datore di lavoro nei confronti del salariato, e viceversa.
“In numerosi impieghi – sottolinea Hofmann – occorre sempre essere aggiornati. Le esigenze aumentano e le competenze acquisite nel corso della formazione, non bastano più una volta per tutte, come in passato”.
“L’ostacolo mentale che rappresenta l’iscrizione alla disoccupazione – aggiunge l’esperto – è inoltre più basso rispetto a prima. Entrando nella vita attiva si tiene già in considerazione l’eventualità di dover, un giorno, ricorrere alla disoccupazione”.
Fenomeno molto presente tra i giovani
La disoccupazione ripetuta è d’altronde molto pronunciata tra i giovani e diminuisce con l’età. “Ma tra i giovani – evidenzia la direttrice del progetto Julia Casutt – la ricorrenza dei periodi di disoccupazione non significa che le persone siano condannate a trovare impieghi meno retribuiti, come succede dopo i 30 anni”.
“Presumiamo che questi periodi di disoccupazione – precisa lo studio – corrispondano a transizioni professionali. Presso i giovani, un cambiamento professionale implica spesso anche un trasferimento in un’altra regione del Paese. I cambiamenti di impiego si traducono spesso – e in modo più frequente sui più anziani – in un cambiamento di settore professionale”.
Tornare al lavoro al più presto piuttosto che formarsi
Altro elemento: gli autori dello studio hanno chiesto alle persone in cerca di un impiego perché fossero in disoccupazione. Hanno posto la medesima domanda ai datori di lavoro e agli URC. Ebbene, le risposte degli uni e degli altri sono molto diverse tra loro…
Per i disoccupati il fatto di aver perso il posto di lavoro è legato ad una mancanza di formazione e di perfezionamento. Per i secondi, le cause sono la mancanza di motivazione e le prestazioni insufficienti. “Per sviluppare una presa di coscienza – ricorda Thomas Buchmann, dell’Associazione svizzera degli Ufficio di collocamento – occorre un accompagnamento individuale”.
La conferma viene dallo studio stesso: il tasso di “ricaduta” è nettamente più basso tra le persone che si sono lanciate in un’attività indipendente con l’appoggio delle autorità. Invece, supera il 50% presso le persone che hanno seguito uno stage di formazione e supera il 65,2% fra coloro che hanno seguito un “semestre di motivazione”.
“Una reintegrazione professionale rapida – conclude Thomas Buchmann – rende di più ed è più efficace che un corso di formazione continua…”
Ariane Gigon, swissinfo.ch, Zurigo
(traduzione dal francese, Françoise Gehring)
La disoccupazione ripetuta è così definita: interviene quando una persona si annuncia agli Uffici regionali di collocamento meno di 5 anni dopo aver lasciato le maglie dell’assicurazione.
Sull’arco medio di 10 anni, il 48% delle persone alla ricerca di un impiego si sono rivelate essere disoccupati “ripetuti”.
In base a questa cifra di riferimento:
● 42% era alla ricerca di un impiego per la seconda volta in meno di 5 anni
● 23% era alla ricerca di un impiego per la terza volta
● 13% per la quarta volta
● 8% per la quinta volta, 5% per la seta volta, 3% per la settima volta, 2% per l’ottava volta e 1% per la nona volta
● In basso alla scala, 1% di queste persone si erano annunciate all’URC per la decima volta in meno di 5 anni.
Convinti che il mercato del lavoro non conosce frontiere cantonali, 12 cantoni tedeschi (AG, AI, AR, GL, GR, SG, SH, TG, ZG e ZH) hanno creato l’osservatorio del mercato del lavoro AMOSA.
L’osservatorio ha già realizzato diversi studi sulla disoccupazione giovanile e la disoccupazione di lunga durata, sul mercato del lavoro nel settore dei servizi finanziari e nel settore alberghiero.
È in preparazione un progetto di approfondimento sulla salute.
Lo studio di AMOSA è stato realizzato nella Svizzera tedesca attraverso un questionario on-line, presso 700 persone. È stato completato con 30 interviste individuali.
“Non pensiamo che i risultati differiscano da una regione linguistica all’altra”, precisa Bernhard Kuster di Gastrosuisse, che ha preso parte alla studio. E aggiunge: “Nel nostro settore, è piuttosto la dimensione turistica ad incidere. Vallese e Grigioni possono pertanto presentare molte similitudini”.
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