un po’ di svizzera nel sudan
Ricercatore all'Istituto di Federalismo di Friburgo, un giurista sudanese immagina l'avvenire del suo paese alla luce dell'esempio svizzero.
Il federalismo non si esporta, ma si adatta ad un piccolo paese del Nord, opulento e tranquillo, oppure ad un’immensa area del Sud, povera e lacerata dalle guerre civili.
Nell’agosto del 2000 Omer Awadalla Ali partecipa ad uno dei corsi organizzati dall’Istituto di Federalismo (IF) nel quadro dell’Università estiva.
Giurista al ministero della Giustizia di Karthum, era venuto in Svizzera per studiare la pacifica coesistenza in un paese multiculturale.
All’Istituto l’interesse è reciproco, e così l’anno seguente Omer torna a Friburgo come collaboratore scientifico invitato. Vi resterà quattro anni, il tempo sufficiente per scrivere il suo dottorato e fare della Svizzera una seconda dimora, per lui, sua moglie e i suoi figli.
Intitolata “Il federalismo come meccanismo di risoluzione dei
conflitti in una società multietnica e multiculturale, il caso del Sudan, studio comparato”, la tesi gli vale una menzione accademica e le lodi del suo mentore Thomas Fleiner, direttore dell’IF.
Omogeneità contro diversità
Per comprendere come popoli che si sono affrontati nel corso della storia riescano poi a vivere sotto una stessa bandiera, Omer non si limita al paragone Svizzera-Sudan. Esamina pure due paesi fortemente centralizzati (Francia e Turchia) e due federalisti (Germania e Stati Uniti).
Analizzando i casi di Germania e USA, conclude che l’appartenenza nazionale è più importante delle
differenze etniche e culturali. È il “melting pot” che permette di creare una nazione omogenea.
Il sistema svizzero, per contro, gli sembra quello che meglio considera le diversità. E che, di conseguenza, potrebbe essere molto interessante per il Sudan, lacerato da guerre civili praticamente dall’indipendenza.
“Ciò non significa, tuttavia, che l’esempio elvetico sia esportabile così com’è. Le differenze tra i due paesi – precisa Omer, fedele interprete della filosofia dell’IF – sono semplicemente enormi”.
Regime transitorio
Dall’accordo di pace siglato nel mese di gennaio del 2005 – che ha posto
fine alle ostilità tra il Nord arabo e musulmano e il Sud africano, cristiano e animista – il Sudan è confrontato con la gravissima crisi del Darfur, che ha assunto le proporzioni della peggiore catastrofe umanitaria di questo inizio secolo.
Attualmente il più grande paese dell’Africa vive sotto il regime di una costituzione provvisoria, che garantisce agli Stati del Sud un’ampia autonomia e il 50% dei guadagni derivanti dal petrolio. Nel 2011 è previsto un referendum che consentirà alla popolazione, se lo desidera, il diritto alla secessione.
Una soluzione che non convince il giovane giurista sudanese. Per lui il Sudan può e deve rimanere unito.
“La popolazione del Sud non è nostra nemica e molte persone vivono già da noi”, spiega Omer, nativo del Nord.
Per scongiurare il pericolo di secessione il paese ha bisogno di un vero sistema federalista. E la costituzione è solo il primo di quattro pilastri.
A ciascuno la propria fetta
Occorre innanzitutto garantire a tutte le culture che compongono il paese il diritto di esistere, senza che l’una abbia il sopravvento sull’altra.
La democrazia, inoltre, non deve imporre alle minoranze la visione della maggioranza. Le minoranze, al
contrario, devono essere ben associate tanto alle istanze del potere, quanto a quelle dell’amministrazione. La presenza di francofoni e italofoni nell’amministrazione federale suscita ad esempio il plauso di Omer.
Altra pietra miliare: la ricchezza nazionale deve essere divisa equamente. Spetta allo Stato vegliare affinché ciò avvenga ed eventualmente correggere le discriminazioni regionali. “In questo campo – ammette Omer – in Sudan ci aspetta davvero un enorme lavoro”.
Il giurista ritiene, in conclusione, che circa il 40% delle sue proposte per il futuro del Sudan sono direttamente ispirate dalla Svizzera. Omer ammira, per esempio, il
meccanismo che ha permesso a tre distretti giurassiani di distaccarsi pacificamente dal canton Berna senza perdere la loro identità elvetica.
Nel frattempo il giovane dottore è tornato a Karthum, per trasmettere ciò che ha appreso durante il suo soggiorno in Svizzera. Dalla capitale sudanese continua a coltivare i contatti con la sua “seconda casa”.
swissinfo, Marc-André Miserez (traduzione: Françoise Gehring)
Dal giorno della sua indipendenza, nel 1956, il Sudan ha conosciuto soltanto 11 anni di pace.
Le guerre civili, essenzialmente tra Nord e Sud, hanno mietuto 2 milioni di vittime e generato 4 milioni di sfollati.
Nel 2004 la Svizzera ha versato 16,7 milioni di franchi per aiuti umanitari al Sudan.
L’anno successivo Berna ha promesso a Karthum 97 milioni su tre anni.
Le Università estive e i regolari inviti rivolti a ricercatori esteri, sono parte integrante della missione del Centro internazionale dell’Istituto di Federalismo (IF). Una parte delle spese viene coperta dalla Direzione dello sviluppo e della cooperazione (DSC).
In Sudan l’esperto di diritto costituzionale Julian Hottinger, allora membro dell’IF, ha presto parte ai negoziati di pace tra Sud e Nord, prima di assumere il compito di mediatore nella regione martoriata del Darfur.
Il Sudan, uno dei paesi più poveri del mondo, è infatti tuttora confrontato con la crisi del Darfur, nell’ovest del paese. Secondo l’ONU si tratta della peggiore crisi umanitaria di inizio secolo.
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