Collocamenti forzati: i “bambini schiavi” si raccontano
Fino al 1981 in Svizzera, 100mila bambini sono stati strappati ai loro genitori e collocati in famiglie contadine o in istituti. Sempre più vittime scavalcano il muro della vergogna per chiedere riconoscimento e riparazione. Testimonianze.
Sono le nove del mattino. L’aria è fresca in questa estate pazzerella. Clément Wieilly ci aspetta davanti a casa sua, il bavero rialzato. Infila il suo metro e novanta nell’automobile. Destinazione: Vallese. «Devo incontrare quattro persone». Quest’uomo dal fisico sportivo è il fondatore dell’associazione Agir pour la dignitéCollegamento esterno e membro della “tavola rotonda”Collegamento esterno creata dalla Confederazione nel 2013, per assistere le vittime di collocamenti coatti e di misure coercitive a scopo assistenziale. Clément Wieilly è inoltre tra i promotori di un’iniziativa popolareCollegamento esterno che chiede la creazione di un fondo di riparazione per le vittime di 500 milioni di franchi.
Abbiamo un’ora di viaggio davanti a noi. Il tempo necessario per il nostro passeggero per ripercorrere la sua infanzia rubata. Un racconto interrotto da numerose telefonate.
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«È stato lo sport a permettermi di andare avanti»
«Sono un combattente»
Per Clément Wieilly, tutto è cambiato nella primavera del 2013, quando la ministra di giustizia Simonetta Sommaruga ha invitato le vittime a una cerimonia ufficiale per presentare le scuse delle autorità. «Quanto è successo è strano, è un caso della vita. Sono andato a Berna e ho deciso di agire».
I media si interessano alla sua storia, il suo nome inizia a circolare. «La mediatizzazione del mio caso ha attirato l’attenzione di altre vittime e oggi sono circa 500 le persone che si sono rivolte a me. In dieci mesi, ho percorso seimila chilometri per raccogliere le loro testimonianze ed aiutare queste persone a ritrovare le loro storie negli archivi».
Si stima che tra le 10mila e le 20mila vittime di questi collocamenti coatti siano ancora in vita. Per sostenerle, la “tavola rotonda” ha creato un fondo urgente, in attesa che il parlamento si pronunci sulla creazione di un vero e proprio fondo di riparazione.
L’idea di creare un’associazione è venuta da sé. Presieduta da Ursula Schneider Schüttel, deputata socialista al Consiglio nazionale (Camera bassa), l’associazione Agir pour la dignité rappresenta le vittime davanti alle autorità. Clément Wieilly si consacra a questa attività anima e corpo. «Col passare del tempo, riesco ad essere meno emotivo. Cerco di prendere le distanze dalla mia storia, perché voglio mettere tutta la mia energia per aiutare queste persone. Sono un combattente».
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«Cosa mi ha aiutata? La rabbia»
Incontro con Rose-France…
Nel frattempo, ha iniziato a piovigginare. Arriviamo a Sierre, nel canton vallese. Sono le 11. In jeans e t-shirt, l’aspetto vivace e più giovane dei suoi 71 anni, Rose-France ci accoglie nel suo appartamento ornato da piccoli budda, dove vive col suo secondo marito. Sul tavolo, i fumetti dei nipotini. Con voce tremula, ci racconta la sua storia di abbandono, percosse, pane secco, pipì a letto e paura del buio. Il peggio «è l’assenza d’amore e il sentimento di colpevolezza, anche se le vittime siamo noi».
Clément Wieilly invita Rose-France alla prossima assemblea dell’associazione. Le consegna le copie dell’iniziativa popolare per la riparazione, da far firmare. Le spiega l’esistenza di un fondo di aiuto immediato da 4mila a 12mila franchi, messo a disposizione dalla tavola rotonda via la Catena della solidarietà (Fondazione a scopo umanitario della SRG SSR). «Non ho chiesto nulla, perché non adempio le condizioni, afferma Rose-France. In ogni caso, non mi permetterebbe di lenire le ferite». Ma se dovesse ricevere qualcosa, andrebbe «al sole». O comprerebbe un’automobile di occasione per la figlia invalida.
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«Non ho mai incontrato umanità
…Rose-Marie e Gilbert
Lasciamo pranzare Rose-France col marito. Alle 14, incontriamo Rose-Marie, 78 anni. Arriva alla stazione di Sion a piedi. Cammina titubante, con una stampella. «Sono stata aggredita due anni fa: un borseggiatore. Risultato: un’anca e due denti rotti. Visto che ho un problema al cuore, nessuno vuole operarmi. Sono perseguitata dalle disgrazie». Ci sediamo in un caffè per ascoltare la sua storia, ricca di dettagli estremamente precisi, interrotta da lacrime e risa di autoderisione.
«Mi ha fatto bene buttar fuori tutto», conclude Rose-Marie con un sorriso, l’occhio lucente e combattivo. «Il mio unico desiderio è quello di denunciare ciò che mi è successo. In un paese ricco come la Svizzera, non ho mai incontrato umanità». Rose-Marie vive solo della sua rendita vecchiaia ed è ben decisa ad ottenere dei risarcimenti, a cominciare dall’aiuto urgente. Clément Wieilly l’aiuterà a preparare il suo dossier e seguire le giuste pratiche amministrative.
Collocamenti extrafamigliari: Decine di migliaia di minorenni cresciuti in famiglie povere, orfani o figli illegittimi, sono stati collocati con la forza in istituti e in famiglie spesso contadine.
Internamenti amministrativi: Le autorità potevano ordinare, senza processo né possibilità di ricorso, l’internamento di giovani in istituti chiusi, penitenziari compresi, a tempo indeterminato.
Violazione dei diritti riproduttivi e adozioni forzate: Fino agli anni Settanta, sono state praticate sterilizzazioni e aborti forzati. Le autorità elvetiche hanno anche dato in adozione dei bambini contro la volontà della madre.
(Fonte: Delegato per le vittime di misure coercitive a scopo assistenzialeCollegamento esterno)
«Mi chiedo perché sono nato»
Sono le 17h. Ci rechiamo all’ospedale di Sion, dove Gilbert, 82 anni, entra ed esce da ormai quattro mesi. È stata un’infermiera a contattare Clément Wieilly. Il racconto di Gilbert è più succinto dei precedenti, ma le parole usate sono le stesse: divorzio, tutela, lavoro, colpi di frusta, inferno… Fa lunghe pause, la testa appoggiata sul cuscino.
«È un bene che le cose si stiano muovendo. All’epoca, non venivano mai a vedere come stavamo. Se ne fregavano completamente. È questo ad avermi colpito di più. Il comportamento della gente. Mi chiedo perché sono vivo, sono stato maltrattato tutta la vita».
Gilbert ha lavorato per le ferrovie svizzere. È vedovo, padre di tre figli e nonno. Vive in un camping, ma rifiuta qualsiasi aiuto finanziario. «Ho una roulotte, due gatti, e mi va bene così». I suoi nipoti gli hanno chiesto di raccontare la sua storia, ma in fondo non sono molto interessati. «Capisco le persone che hanno vergogna di parlare, perché è difficile. Va bene ricevere qualche riconoscimento, ma se vogliono darmi dei soldi, io li donerò all’Esercito della salvezza. Non ho mai chiesto aiuto, è il mio carattere, ed ho sempre cercato di insegnare ai miei figli la rettitudine».
Usciamo dall’ospedale. Il sole ha ormai scacciato le nuvole. Tuttavia, pochi giorni prima della pubblicazione di questo reportage, ci è giunta la triste notizia: Gilbert è deceduto in seguito a una lunga malattia. Clément Wieilly è al tempo stesso sconvolto e rivoltato: «Gilbert non potrà più trasmettere la propria richiesta alle autorità. Le cose si muovono troppo lentamente per le vittime, che sono spesso anziane, povere e in cattiva salute. La gente deve capire che è una corsa contro il tempo».
Un lungo cammino
1981 : In seguito alla ratifica (1974) della Convenzione europea dei diritti umani (CEDH), la Svizzera rinuncia all’internamento coatto di bambini e adulti (in istituti o penitenziari), al collocamento extrafamigliare di minorenni, alle sterilizzazioni e agli aborti forzati (violazione dei diritti riproduttivi) e alle adozioni forzate.
Aprile 2013: la Confederazione presenta le sue scuse alle vittime di collocamenti coatti e di misure coercitive a scopi assistenziali.
Giugno 2013: Creazione di una “tavola rotonda” tra i diversi attori coinvolti nella problematica, tra cui figurano anche rappresentanti delle Chiese e dell’Unione svizzera dei contadini.
Marzo 2014: Lancio dell’iniziativa popolare “per la riparazione”, che chiede la creazione di un fondo di 500 milioni di franchi. A inizio settembre, sono state raccolte 60mila firme sulle 100mila richieste.
Luglio 2014: la “tavola rotonda” presenta il suo rapporto e un catalogo di misure, tra cui l’attribuzione di un sostegno finanziario alle vittime che versano in ristrettezze economiche, compreso tra 4mila e 12mila franchi. Il fondo d’aiuto immediato – di un totale di 7 milioni – è gestito dalla Catena della solidarietà.
Agosto 2014: entrata in vigore della Legge federale sulla riabilitazione delle persone internate sulla base di una decisione amministrazioneCollegamento esterno, che «intende rendere giustizia» alle vittime. Il testo pone le basi per una rielaborazione scientifica del fenomeno e garantisce il diritto di consultare gli archivi. Un progetto di ricerca, SynergiaCollegamento esterno, è stato lanciato nel gennaio 2014.
Indennizzo: la “tavola rotonda” potrebbe dare mandato al parlamento di pronunciarsi su una legge che prevede il versamento di un montante forfettario associato alla rendita vecchiaia, in modo da tener conto della situazione particolare di ogni vittima. Questa base legale potrebbe entrare in vigore nel 2017.
(Traduzione dal francese, Stefania Summermatter)
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