Dall’Italia alla Svizzera per formarsi in ospedale
Gli ospedali elvetici riescono a rispondere alla domanda solo “importando” dottori dall’estero. Uno di questi è Luca Torri, un medico assistente italiano che effettua la formazione specialistica in Svizzera e che ha raccontato la sua esperienza a swissinfo.ch.
Nato 29 anni fa a Casina, un paese nell’Appennino reggiano dove è cresciuto, Luca Torri frequenta le scuole superiori a Reggio Emilia. Dal 2002 al 2008, studia medicina all’università di Bologna.
Laurea in tasca, superati tirocinio pratico ed esami gli esami di abilitazione per praticare come medico sul territorio, inizia ad esercitare in Italia nel marzo 2009. Per circa un anno lavora come guardia medica tra Bologna e la provincia di Reggio Emilia.
La passione per il lavoro in ospedale
Il suo sogno è però di lavorare in un ospedale. “Ho sempre pensato di fare medicina ospedaliera, già da studente. È il tipo di medicina che preferisco”, spiega.
Ma i posti disponibili sono rari, le liste d’attesa lunghissime. Dopo aver sondato il terreno, giunge all’amara conclusione che i test d’ingresso per la formazione specialistica “non garantiscono la meritocrazia e, in alcuni casi, si prestano ad essere pilotati”. Rinuncia a fare l’esame di ammissione, ma non a realizzare il suo sogno.
Nel frattempo, un amico chirurgo gli ha parlato del sistema di formazione negli ospedali svizzeri. Conoscendo due lingue nazionali elvetiche – oltre all’italiano, il francese studiato a scuola – s’informa, prende contatti e prova a mandare il suo curriculum ad alcuni ospedali.
Quando piccolo significa eclettico
È così che nel 2010 ottiene un contratto di assistente in medicina interna in un ospedale periferico: a Delémont. “Prima di allora non sapevo nemmeno che esistesse” quel comune giurassiano, dice ridendo.
Lasciarsi alle spalle la propria terra, la famiglia, gli amici, per andare in un luogo sconosciuto non è facile. All’inizio Luca Torri si deve abituare a modi di lavorare diversi, ad essere costantemente immerso in un’altra lingua e in un’altra mentalità. Anche se è circondato da molti medici assistenti che come lui provengono dall’estero: “Credo che in medicina interna fossimo almeno la metà”.
Comunque le piccole dimensioni dell’ospedale facilitano l’adattamento. “Nel giro di qualche mese ci si conosce tutti. È come una ‘grande famiglia’ e l’ambiente è piuttosto caloroso. I capi sono sempre stati molto disponibili”.
La formazione in un piccolo ospedale presenta anche altri vantaggi: “l’approccio è più ampio e quindi molto interessante”. A Delémont i casi “di una certa gravità e complicatezza sono tutti gestiti dalla medicina interna. Non avendo tutti gli specialisti all’interno dell’ospedale, si deve avere una base molto larga per gestire da soli problemi svariati”.
Non avere tutti i reparti specialistici che ci sono nei grandi ospedali vuol dire anche dover essere in grado di “decidere se un paziente può essere trattato lì o se lo si deve mandare in un altro ospedale. E in quel caso, come farlo”.
Secondo il giovane medico, importante per la formazione è l’organizzazione. “E se una formazione è organizzata bene, può essere fatta anche in un piccolo ospedale, anche in periferia”.
Più grande, più specialità
Luca Torri giudica positivamente il sistema svizzero, che consente una formazione con passaggi in ospedali di dimensioni diverse e che permette di ritornare più volte ai diversi livelli. Un cambiamento che egli ha già compiuto. Nel 2011 coglie l’opportunità di lavorare come medico assistente in anestesia all’Ospedale del Vallese romando, un centro di medie dimensioni, ripartito in tre stabilimenti a Sion, Sierre e Martigny.
Il giovane medico lavora per rotazione in tutti e tre. In ognuno “si fanno cose diverse dal punto di vista della chirurgia e perciò anche dell’anestesia. Per la formazione è molto utile, perché permette di vedere tutti i tipi di chirurgia di base, senza entrare in quelle specialistiche dei grandi ospedali”.
Inoltre, “cambiando sede, cambia l’organizzazione del blocco operatorio, del lavoro. Considero molto positivo vedere come si lavora in posti diversi ed eventualmente sapermi adattare”.
Un grado di soddisfazione che spinge il dottore emiliano a continuare la formazione nell’ospedale vallesano. Ha già firmato un contratto di un anno in medicina interna che inizierà appena conclusi i due anni in anestesia. Poi intenderebbe fare un anno in terapie intensive, sempre in Vallese. “In seguito mi piacerebbe concludere la formazione in un ospedale universitario, in anestesia”.
Ancora completamente incerto, invece, il suo destino dopo la specializzazione. “La qualità del lavoro in Svizzera è molto buona. Qui mi trovo bene e mi sono state date opportunità che in Italia non avrei avuto. Ma mi piacerebbe anche fare esperienze in altri paesi, fuori dall’Europa, magari per un anno”.
Qualunque sia la sua decisione futura, di una cosa il medico italiano è sicuro: non si è mai pentito della sua scelta di emigrare in Svizzera per specializzarsi. Anche se c’è “il rimpianto di non poter fare la stessa cosa a casa propria. Tanto più che anche in Italia, volendo, le cose potrebbero essere ben fatte, ma c’è un problema strutturale”.
Negli ospedali svizzeri nel 2010 lavoravano 20’292 medici che rappresentavano un totale di 17’363 in equivalente tempo pieno (ETP). I medici assistenti erano il 48,8%.
Le donne rappresentavano il 43,0% dell’intero corpo medico ospedaliero. La loro proporzione tra i medici assistenti era del 56%.
Nel 2009 (cifre più recenti disponibili), il 69,6% dei dottori che esercitava negli ospedali aveva ottenuto il diploma di medicina in Svizzera. In testa agli altri paesi di ottenimento del diploma c’era la Germania con il 18,4%, seguita da Italia (1,9%), Austria (1,5%) e Francia (1%). Il 3,2% era titolare di un diploma di uno degli altri paesi dell’Unione europea, il 4,4% di un paese fuori dall’UE.
Fonte: Osservatorio svizzero della salute
Motivo di malcontento dei medici assistenti negli ospedali svizzeri sono le ore eccessive. In seguito a un’iniziativa parlamentare, nel 2004, il governo svizzero aveva fissato a un massimo di 50 ore la settimana lavorativa dei medici assistenti. Una durata già di per sé lunga. Ma in più “settimane di lavoro di 60 ore o anche di più sono prassi corrente”, ha dichiarato di recente il presidente uscente della Federazione dei medici svizzeri Jacques de Haller all’agenzia ats.
Una nota dolente riscontrata anche da Luca Torri a Delémont. “Ci sono stati periodi in cui le ore supplementari erano tantissime e non erano nemmeno riconosciute”. Un carico in buona parte derivante dalla burocrazia “che sta aumentando in modo esponenziale ovunque”, rileva il medico assistente, che mette in guardia contro i rischi di demotivazione.
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