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Gli svizzeri nelle trincee sul fronte franco-tedesco

Una colonna francese in marcia verso l'inferno di Verdun AFP

Migliaia di svizzeri hanno combattuto sul versante francese durante la Prima guerra mondiale, scoppiata un secolo fa. Tra questi, Blaise Cendrars, Valdo Barbey e Edouard Junod, che hanno lasciato alcune testimonianze impressionanti delle loro esperienze sul fronte occidentale.

28 settembre 1915. Nel nord della regione francese della Marna, il 2 ° reggimento della Legione straniera lancia un attacco alla fattoria Navarino, nelle mani delle truppe tedesche. Verso le 15:30, sotto la pioggia battente, il caporale Sauser è mitragliato dalla fanteria tedesca. Perde il suo braccio destro.

“Un braccio umano grondante di sangue, sezionato sopra il gomito, la cui mano, ancora viva, grattava il suolo con le dita, come se volesse mettervi delle radici”, racconta Sauser, alias Blaise Cendrars, nel suo libro “La mano mozza”.

Quando il poeta Cendrars conclude la sua guerra nel dolore, altri svizzeri vivono l’inferno nelle pianure della regione della Champagne. Quello stesso 28 settembre, alcune trincee più lontane, il capitano Edouard Junod invia una lettera a sua sorella. “Scrivo nel buio. La giornata era terribile. Avanziamo lentamente. L’avversario è duro, la sua artiglieria mirabilmente servita ci abbruttisce con un 140 asfissiante. Non vi è tregua, né di giorno né di notte. Piove. Alcune schiarite. Un sole pallido. Tremiamo dal freddo. Morale eccellente. Non capisco come sto ancora in piedi”.

Nel pomeriggio, il ginevrino Junod cade, “fulminato dai proiettili delle mitragliatrici tedesche nascoste nel bosco”, racconterà il giornalista Paul Seippel. Morto a 40 anni, dopo una guerra breve, ma di inaudita violenza.

Nella nuova “Encyclopédie de la Grande Guerre” (edizioni Tempus), lo storico Stéphane Audoin-Rouzeau descrive bene la nascita della guerra di trincea.

Nel settembre 1914, dopo la battaglia della Marna, “esausti per gli immensi sforzi delle settimane precedenti, i soldati scavano spontaneamente dei buchi nel suolo per proteggersi dai proiettili. Progressivamente interconnessi, i singoli buchi formano poi la prima linea delle trincee. La fanteria tedesca, meglio addestrata per le fortificazioni in campagna, sembra aver dato l’esempio nella costruzione delle trincee. Gli ‘alleati’ rimproverano poi ai tedeschi di aver degradato le modalità belliche dello scontro guerriero”.

Nella guerra delle trincee, i belligeranti sono separati da una zona di estremo pericolo, la terra di nessuno. La guerra diventa essenzialmente difensiva. Gli stati maggiori dell’esercito francese e tedesco lanciano degli assalti per rompere il fronte delle trincee avversarie, per lo più senza successo, almeno fino al 1918.

Un volontario, un mercenario

Un mondo separa Cendrars da Junod. Lo scrittore nato a La Chaux-de-Fonds si è arruolato volontario. Nell’agosto 1914 pubblica un appello tragicamente preveggente sulla stampa parigina. “Gli amici stranieri della Francia sentono il bisogno darle una mano”. Cendrars si arruola e parte per combattere nelle regioni dell’Artois e della Champagne.

Junod è un mercenario, secondo la vecchia tradizione militare svizzera. Ufficiale nell’esercito elvetico, si arruola nella Legione straniera e partecipa alle campagne francesi in Marocco, Tonchino e Madagascar. È un duro. Il suo contemporaneo Albert Erlande lo descrive nel maggio 1915, durante la sanguinosa battaglia di Artois: “Il capitano Junod, con un piede sul gradino di una scala scavata con una vanga, una sigaretta russa in bocca, una frusta in mano, uno sguardo che elettrizza la compagnia, ordina con voce soave: “Avanti, ragazzi! Coraggio!”.

Junod muore, per nulla o quasi. L’offensiva nella Champagne lanciata dal generale Joffre, comandante dell’armata francese, si traduce in un’avanzatata di … 4 chilometri. Il costo umano è terrificante. L’esercito francese deplora 28’000 morti, 98’000 feriti, 53’000 prigionieri e dispersi.

Valdo Barbey, “Soixante jours de guerre en 1914”, edizioni Bernard Giovanangeli, 2004.

Binet-Valmer, “Mémoires d’un engagé volontaire”, edizioni Flammarion, 1918.

“Édouard Junod, capitaine à la Légion étrangère (1875-1915)”, lettere e ricordi raccolti da Paul Seippel, Parigi, 1918.

Da ogni regione svizzera

Quanti sono gli svizzeri arruolati nella Legione straniera? “Formavano sempre un po’ più di un terzo dei reggimenti stranieri”, scrive nel 1916 Gauthey des Gouttes, presidente del comitato degli svizzeri al servizio della Francia, secondo il quale il loro numero si situa tra 2’500 e 3’000 uomini.

Dopo la dichiarazione di guerra, centinaia di svizzeri affluiscono a Parigi , al Café du Globe, boulevard de Strasbourg, che funge da luogo di reclutamento. “Dal pastore protestante al cameriere, dallo studente al contadino”, i volontari svizzeri giungono in massa, si entusiasma Gauthey des Gouttes. “Conosco, da parte mia, oltre 800 volontari con i quali ho scambiato della corrispondenza, 300 provenienti dalla Svizzea tedesca e 500 da quella francese e italiana”.

Perché così tanto entusiasmo? Gauthey des Gouttes ne attribuisce la ragione alla “violazione del Belgio” da parte dell’esercito tedesco, “perché lasciava temere una prossima violazione della Svizzera”. A coloro che accusano questi volontari di aver tradito la neutralità svizzera, il francofilo risponde. “Alcuni sono venuti, disgustati da certi atteggiamenti germanofili emersi in Svizzera”.

DR

Un “gioiello”, il diario di Barbey

Tra gli svizzeri che combattono dal lato francese vi sono anche alcuni naturalizzati. Hanno perso il passaporto con la croce bianca, ma mantengono forti legami con il loro paese di origine. Valdo Barbey ha 34 anni quando scoppia la guerra. Nato nei pressi di Yverdon, parte a Parigi per seguire la scuola delle Belle Arti. Nel 1914 il giovane pittore viene incaricato di disegnare le uniformi del nemico. Vuole battersi e alla fine di ottobre il suo desiderio è esaudito. Barbey viene inviato al fronte, nella regione del Pas-de-Calais.

Il suo diario, pubblicato nel 1917 sotto lo pseudonimo di Fabrice Dongot, racconta la vita quotidiana nelle terribili trincee. 26 ottobre 1914: “A un metro di distanza dalla nostra trincea si trovano quattro tombe, con una croce su cui è stato posto un képi. Sono le tombe di quattro sciagurati, uccisi da una bomba nel seminterrato di una casa”.

2 novembre: “Le mitragliatrici tedesche ci cospargono di pallottole, che passano sopra di noi. Alla mia sinistra sento urlare: ‘Oh mamma!’. Poi, silenzio”. 1° dicembre: “Viene ordinato di inserire le baionette e di passare all’attacco ( … ) Siamo ora nella zona spazzata dalle pallottole: dzing, dzing, dzing. Alcuni cadono. Corriamo, saltiamo, alcuni gridano, altri ridono”.

In questa lotta fino alla morte per pochi metri di terreno, i valori umani non sono completamente scomparsi. Dopo essere entrata in una trincea piena di cadaveri nemici, la sezione Barbey seppellisce i morti, mentre piovono le bombe. “Scavare non è niente, la cosa più dura è di trasportare tutti questi poveri corpi mutilati fino alla tomba”.

Colpito da due pallottole alla testa e alla spalla, Barbey viene evacuato dalla zona di combattimento e poi rilasciato nel 1916. Quando, alla fine degli anni ’20, l’ex soldato e storico Jean Norton Cru raccoglie delle testimonianze della guerra, si entusiasma per il diario di Barbey. “Un puro gioiello ( … ) Leggendo questo diario, mi chiedo sempre se è stato eguagliato da altri ritratti della vita quotidiana dei soldati al fronte”.

L’avventuriero Binet-Valmer

Mentre Barbey è sobrio e preciso nel descrivere i combattimenti, il ginevrino Binet-Valmer racconta gli eventi con una ricerca stilistica. Al momento della dichiarazione di guerra, lo scrittore di 39 anni ha già pubblicato una dozzina di libri. Chiede la nazionalità francese e fa di tutto per essere arruolato nella brigata del generale Trentinian, che incontra nei ristoranti eleganti del Bois de Boulogne.

Trentinian non lo vuole, ma Binet-Valmer non demorde e riesce a farsi prendere come scudiero del generale. Promosso sotto-tenente, il ginevrino vive la sua guerra da scrittore-giornalista. Racconta le sue gesta in venti episodi trepidanti, per i lettori del “Journal”.

Lo storico Norton Cru non nutre grande stima per questo tuttofare. “Binet-Valmer era un vero moschettiere, voleva vivere tutte le avventure della guerra. E vi è riuscito, senza voler limitarsi però all’avventura più comune, più essenziale, quella della fanteria.

Un giudizio un po’ troppo severo: Binet-Valmer vive da vicino i combattimenti di Ethe (Belgio) nell’agosto 1914. E per finire viene ferito nella battaglia di Malmaison, nel mese di ottobre 1917.

Traduzione di Armando Mombelli

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