«Il CICR deve provare che è radicalmente neutrale»
Come le multinazionali, il CICR si internazionalizza. Con un budget operativo in aumento del 25%, l’organizzazione umanitaria si arma per rispondere il più rapidamente possibile alle crisi e ai conflitti armati, che tendono ad aggravarsi. Le spiegazioni di Yves Daccord, direttore generale dell’istituzione con sede a Ginevra.
Il Comitato internazionale della Croce Rossa (CICR) progetta di delocalizzare certi servizi della sua sede ginevrina in Serbia e nelle Filippine. Per i collaboratori colpiti da questa riorganizzazione, pianificata sull’arco di quattro anni e che inizierà il primo gennaio 2015, è previsto un piano sociale. Se il 49% degli impiegati che lavorano nella sede sono svizzeri, il CICR conta oggi 126 nazionalità diverse, due volte di più che dieci anni fa.
Dopo essere stato direttore della comunicazione del CICR, Yves DaccordCollegamento esterno è stato nominato direttore generale dell’organizzazione nel 2010.
swissinfo.ch: Perché fare simili cambiamenti?
Yves Daccord: Abbiamo elaborato una nuova strategiaCollegamento esterno per i prossimi quattro anni. Riteniamo che saremo confrontati con un contesto più difficile, con più conflitti e crisi più lunghe. I bisogni delle popolazioni che cerchiamo di raggiungere saranno quindi maggiori.
Basta pensare alla SiriaCollegamento esterno, che entra nel suo quarto inverno di guerra e la cui economia è praticamente ridotta a zero. O alla LiberiaCollegamento esterno, colpita dall’epidemia di Ebola, ma anche fortemente destrutturata.
Ci siamo quindi assunti il rischio di aumentare il budget operativo del 25% rispetto a quello del 2014, portandolo a 1,4 miliardi di franchi. Due anni fa, avevamo circa 900 milioni di franchi.
L’anno prossimo aumenteremo anche il numero di collaboratori, che passeranno dai 13’500 attuali a 14’500. In quest’ottica, dobbiamo gestire le nostre risorse nel modo più intelligente possibile. Il nostro è un programma di riassegnazione delle risorse e non di risparmio.
Il CICR diventa un’organizzazione globale, che deve essere capace di lavorare 24 ore su 24, 7 giorni su 7. Oltretutto in un campo d’azione che va dalle Isole Figi nel Pacifico all’Africa, passando dall’America latina.
swissinfo.ch: Cosa significa tutto ciò per la sede del CICR a Ginevra?
Y.D.: La sede di Ginevra rimane assolutamente centrale. Più diventiamo un’organizzazione globale, più il radicamento ginevrino diviene importante, in termini di identità e di direzione strategica.
Devo assicurarmi che nella sede vi siano collaboratori con un profilo adeguato per gestire le operazioni, portare avanti le nostre attività di diplomazia umanitaria e mantenere un alto livello di competenza giuridica. Parte dei servizi, in particolare alcuni servizi informatici, saranno trasferiti a Belgrado, altri a Manila, dove già dagli anni ’90 viene tenuta parte della nostra contabilità.
swissinfo.ch: Quali sono i criteri di reclutamento?
Y.D.: Siamo un’organizzazione pluridisciplinare e cerchiamo persone molto specializzate e competenti. Ad esempio, su 100 delegati alla loro prima missione, il 12% ha competenze linguistiche di base, ovvero padroneggia due lingue, l’inglese e il francese. L’88% parla più di tre lingue, tra cui il thai, l’urdu o l’arabo.
I delegati del CICR lavorano sempre meno con dei traduttori, poiché – in un mondo difficile – devono essere capaci di comunicare e di avere degli scambi diretti con le persone sul terreno.
Il nostro bacino di reclutamento è in Medio Oriente, in America Latina, in Canada, ma anche in Svizzera e altrove in Europa.
Abbiamo bisogno di persone con competenze molto specifiche, disponibili anche per missioni difficili. Prendiamo il caso di una psicologa specializzata nelle violenze sessuali, con una certa esperienza, che parla delle lingue locali e che è pronta a lasciare la sua famiglia per andare a lavorare a Herat, in Afghanistan… Non ce ne sono molte.
Gli effettivi del CICR
Sede di Ginevra: 988 impiegati, il 49% dei quali svizzeri, così ripartiti:
- operazioni: 234 dipendenti
- risorse finanziarie e logistiche: 210
- risorse umane: 151
- comunicazione: 191
Nei teatri d’intervento, il CICR occupa 12’540 persone, di cui il 15% svizzere.
Nel mondo il CICR è presente in 84 paesi con oltre 100 delegazioni.
swissinfo.ch: Perché c’è allora bisogno di un piano sociale?
Y.D.: Per essere efficaci e controllare la crescita del nostro budget nella sede, negli anni a venire dovremo delocalizzare un certo numero di posti. Ogni persona che perderà l’impiego beneficerà di condizioni particolari. Abbiamo una convenzione collettiva di lavoro e un’associazione del personale, con la quale abbiamo negoziato in anticipo, poiché siamo un datore di lavoro responsabile.
swissinfo.ch: La globalizzazione del CICR è dovuta prima di tutto alla moltiplicazione dei teatri d’intervento?
Y.D.: Abbiamo effettivamente un numero crescente di operazioni. Siamo presenti in 84 paesi. Vi è però un altro aspetto: dall’11 settembre, il mondo si sta polarizzando sempre più.
Non vi è più una convergenza internazionale tra i grandi paesi. Non vi sono più uno o due paesi che dettano l’agenda. In questo mondo sotto tensione, i rapporti di fiducia sono sempre più rari. La capacità di capire queste situazioni complesse è più importante che mai.
Le operazioni del CICR si svolgono nella misura del 70% nei paesi musulmani. In quest’epoca di polarizzazione, un’organizzazione che ha per emblema una croce rossa deve essere capace di dimostrare quotidianamente che non si iscrive in questa polarizzazione e che è radicalmente neutrale e imparziale.
Se non avessimo collaboratori di origini molto diverse, la nostra presenza in Siria o in Iraq sarebbe molto limitata. Non potremmo intervenire in Somalia. Ebbene, in Siria o in Iraq siamo capaci di aprire delle porte. In Siria abbiamo un’equipe internazionale anche ad Aleppo, non unicamente a Damasco.
In Libia succede il contrario. È un paese che non riusciamo a capire. È un paese totalmente nuovo per noi. Ci vogliono anni per capire un paese. Inoltre, la Libia è in pieno caos, è estremamente frammentata.
swissinfo.ch: Di fronte a crisi di lunga durata, siete obbligati ad allargare il vostro campo di attività?
Y.D.: Il nostro campo d’azione di base è intervenire in situazioni di crisi grave, guerra o crisi umanitaria maggiore. È vero però che da una decina d’anni interveniamo anche in crisi di lunga durata, come in Palestina, Sudan, ecc.
Le nostre squadre devono quindi non solo rispondere a bisogni urgenti, ma anche a problemi cronici. Naturalmente non siamo capaci di dare una risposta a tutto. Di fronte ai problemi cronici, dobbiamo tener conto dei meccanismi di ricostruzione e di resilienza delle popolazioni.
Per fare un esempio, quando ho iniziato a lavorare per il CICR, non vi era nessuna equipe veterinaria. Oggi, ve ne sono nel Sahel, in Somalia e altrove, poiché ci siamo resi conto che portare del cibo o dell’aiuto umanitario «classico» a certe popolazioni nomadi, che soffrono degli effetti combinati del cambiamento climatico e dei conflitti armati, era completamente inutile. Ciò che può veramente aiutarle, è occuparsi del loro bestiame, che fa le veci di banca e di dispensa.
Spesso ci troviamo dove nessun altro può andare. In Somalia, ad esempio, è il CICR che può inviare dei veterinari per vaccinare le mandrie. Siamo i soli. È così che si permette a queste popolazioni di sussistere in modo dignitoso.
Un altro esempio è quello dei medici legali. Il problema delle persone scomparse ci dà molto da fare. In molti casi, le popolazioni ci hanno chiesto di aiutarle a identificare le vittime sepolte nelle fosse comuni. In certi posti eravamo i soli a poterlo fare. È sicuramente una delle ragioni per cui il CICR ha, in ambito umanitario, l’equipe di medici legali più specializzata al mondo.
swissinfo.ch: Ma non sono compiti delle agenzie di cooperazione?
Y.D.: Gli enti di aiuto allo sviluppo cercano di cambiare una situazione. Non è il nostro caso. Le agenzie intervengono per far evolvere un sistema educativo, finanziario, culturale… Non è il lavoro del CICR.
Se necessario, utilizziamo strumenti di sviluppo per accompagnare e sostenere un paese, non per trasformarlo. Inoltre, nella maggioranza dei posti dove interveniamo, la presenza statale straniera è assente o quasi, perché le agenzie di aiuto allo sviluppo non sono percepite come neutrali e indipendenti. Per di più, in questi ultimi anni tendono a ritirarsi dalle zone dove noi interveniamo, privilegiando altri luoghi strategici che interessano gli Stati e le loro economie.
(traduzione di Daniele Mariani)
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