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La povertà nascosta

Quando il denaro diventa un nemico quotidiano. Keystone

In Svizzera nessuno muore di fame. Eppure, secondo le ultime stime di Caritas, da 700'000 a 900'000 persone vivono in una situazione di indigenza. Ma cosa significa essere povero in uno dei paesi più ricchi al mondo? Swissinfo.ch lo ha chiesto a Eric Crettaz, esperto di politiche sociali all’Università di Neuchatel.

Non è facile parlare di povertà in uno dei paesi con la miglior qualità di vita al mondo. Non è facile percepirla, comprenderla, né affrontarla. Giovani senza lavoro, famiglie senza certezze, anziani senza difese restano spesso a margine di una società che si presenta come ricca, competitiva e rassicurante.

Ma anche se non la vediamo a ogni angolo della strada, se non ne sentiamo parlare, e se spesso viene minimizzata, la povertà in Svizzera è una realtà. Nell’anno europeo di lotta all’indigenza, swissinfo.ch ha interpellato Eric Crettaz – sociologo all’Università di Neuchatel – per cercare di capire meglio questo fenomeno che, in una sorta di imparzialità, colpisce indistintamente tutti i paesi.

swissinfo.ch: Stando alle ultime stime di Caritas, in Svizzera una persona su dieci vive nell’indigenza. Eppure, praticamente nessuno muore di fame. Cosa significa dunque essere povero in Svizzera?

Eric Crettaz: Naturalmente quando si parla di povertà in Svizzera – così come in altri paesi sviluppati – si fa riferimento alla povertà relativa, ossia all’impossibilità di condurre una vita dignitosa, socialmente integrata e comparabile a quella degli altri.

Essere povero in un paese ricco significa di fatto non poter vivere in modo decente ed essere così a margine della società. La maggior parte delle persone che consideriamo povere hanno accesso a un alloggio, a una copertura sanitaria, a un’istruzione per i loro figli, ma non sempre ne fanno uso per vergogna o fierezza, o semplicemente perché non ne conoscono le possibilità.

Anche se le forme più estreme di povertà sono ormai scomparse in Svizzera, basta aprire gli occhi per accorgersi che ci sono ancora persone in situazioni di grande precarietà. Persone che rinunciano a una vita sociale per raggiungere la fine del mese, rischiando giorno dopo giorno di ritrovarsi isolati, senza più una rete sociale sulla quale contare. Giovani che cercano di emulare gli amici e fanno debiti su debiti, entrando così in una spirale di dipendenza economica.

swissinfo.ch: In Svizzera esistono cifre contrastanti sulla povertà. Come viene misurato questo fenomeno?

Eric Crettaz: Nella maggior parte dei casi vengono presi in considerazione unicamente gli indicatori monetari. Dal punto di vista statistico, una persona è dunque povera quando le sue entrate sono inferiori a una certa soglia, ad esempio il 60% del reddito mediano.

La Conferenza svizzera delle istituzioni sociali (COSAS) si basa invece su tutta una serie di beni e servizi considerati necessari a una vita socialmente integrata. In questo caso non viene preso in considerazione il reddito mediano, ma tutti quei bisogni – dall’alloggio al tempo libero – indispensabili a una persona o a una famiglia per non sentirsi a margine della società.

Infine, un approccio più relativo consiste nel valutare l’evoluzione dei bisogni della popolazione in una società di consumo: cosa manca a queste persone? Cosa è necessario affinché possano sentirsi parte di una società? Da questi diversi indicatori e percezioni della povertà risultano inevitabilmente cifre contrastanti che illustrano – anche se in modo diverso – un fenomeno preoccupante.

swissinfo.ch: Quali sono i principali fattori di rischio povertà ?

Eric Crettaz: Ci sono diversi fattori che possono portare a una situazione particolarmente difficile. Il livello di formazione ha sicuramente un impatto importante sui giovani. Oggi essere poco qualificati, e in particolare non avere una formazione post-obbligatoria, è un handicap sociale, un ostacolo all’integrazione impensabile solo 30 anni fa.

Oltre al tipo di formazione vi sono poi fattori demografici come il numero di figli, o un divorzio alle spalle, che possono portare a un peggioramento delle condizioni di vita. Diversi studi dimostrano infatti che dopo una separazione, i bisogni aumentano mentre il salario resta il medesimo. In Svizzera sono particolarmente colpite anche le famiglie numerose: già a partire dal secondo figlio, il bilancio famigliare inizia a risentirne.

Infine la situazione si complica ulteriormente per gli stranieri perché i loro percorsi sono segnati da un livello di formazione molto basso, dall’appartenenza a famiglie numerose e da attività in settori economici dove la produttività è bassa, così come i salari.

swissinfo.ch: Il mondo politico si limita spesso a reagire ai problemi sociali. Se non esiste una strategia preventiva semplice ed efficace, da dove bisogna cominciare?

Eric Crettaz: Bisogna prima di tutto cambiare il modo in cui viene affrontato il problema. Oltre agli aiuti mirati per sostenere queste persone, è necessario mettere in atto una politica degli investimenti sul lungo termine focalizzata soprattutto sui giovani. L’idea è semplice: se si investe sui bambini e i ragazzi, attraverso una migliore formazione o un sostegno mirato alle famiglie, si hanno maggiori opportunità di avere adulti più autonomi e indipendenti sul mondo del lavoro.

Quell’investimento che inizialmente può apparire oneroso, avrà poi ricadute positive per lo Stato, perché si avranno meno casi sociali. Tuttavia, non è sempre facile convincere il mondo politico della necessità di prendere delle scelte il cui impatto sarà visibile solo tra 20 anni. E questo è ancora più vero in un periodo di recessione.

swissinfo.ch: Di fronte a questi dati allarmanti, non è lecito interrogarsi sull’efficacia del nostro stato sociale?

Eric Crettaz: Non credo. Malgrado la drammaticità di alcune situazioni bisogna saper relativizzare e pensare a come erano dure le condizioni di vita fino a pochi decenni fa, quando non si parlava ancora di Stato sociale. Oggi gran parte degli svizzeri se la cavano piuttosto bene e questo è anche grazie alle nostre assicurazioni e al sostegno degli enti pubblici. È però vero che ci sono varie riforme necessarie perché i rischi sociali sono cambiati rispetto agli anni Settanta e Ottanta. Ma non credo che queste riforme rimettano in questione l’esistenza stessa dello Stato sociale.

Una delle priorità è sicuramente lo sviluppo delle politiche famigliari, tenuto conto che abbiamo l’opportunità di vivere in paese in cui il mercato del lavoro funziona piuttosto bene. Malgrado la recessione, la Svizzera ha un tasso di disoccupazione inferiore al 5% – che molti considerano ancora come pieno impiego – mentre in altri paesi superano il 15%. Lo Stato dovrebbe garantire alle donne l’opportunità di lavorare di più, ampliando l’offerta di asili nido o di altri tipi di presa a carico dei bambini come accade nei paesi scandinavi o in Francia. Questo permetterebbe anche di favorire un aumento del tasso di natalità e di risolvere quindi parte dei problemi di finanziamento dell’AVS.

Stefania Summermatter, swissinfo.ch

Secondo i criteri dell’Ufficio federale di statistica, i lavoratori considerati poveri («working poor») sono persone appartenenti alla fascia d’età compresa tra i 20-59 anni che, pur svolgendo un’attività lucrativa a tempo pieno, vivono al di sotto della soglia della povertà.

In Svizzera, la soglia statistica della povertà è calcolata a un reddito di 2’200 franchi al mese per le persone che vivono da sole e 3’800 franchi per le famiglie monoparentali con due figli con meno di 16 anni. Per le coppie con due figli, essa si situa a 4’000 franchi.

Secondo i dati resi noti nel 2009 dall’Ufficio federale di statistica (riferiti al 2007), nella Confederazione quasi 150’000 persone rientravano nella categoria dei working poor, ossia il 4,4% della popolazione attiva.

Le stime della Caritas, tuttavia, sono ben più allarmanti: un abitante su dieci vivrebbe infatti sotto la soglia della povertà. I più colpiti sono i giovani senza formazione e le famiglie numerose.

Il 2010 è stato dichiarato l’anno europeo di lotta contro la povertà e l’indigenza

Il Consiglio federale dovrebbe presentare nella primavera del 2010 una nuova strategia di lotta contro la povertà.

La Conferenza svizzera delle istituzioni dell’azione sociale (COSAS) e la Caritas hanno presentato due strategie per dimezzare la povertà della metà entro il 2020. L’accento è posto sui disoccupati di lunga data.

«Chi che non ha amici o compagni che si occupano di lui è davvero povero». (JF, 13-18 anni, autoctono, contesto urbano)

«Abbiamo sempre dovuto tirare la cinghia, sono abituato ormai». (JH, 13-18 anni, immigrato, contesto urbano)

«Mi piace giocare a calcio, in campo siamo tutti uguali, basta saper giocare». (JH, 13-18 anni, immigrato, contesto urbano)

“La povertà vista dai ragazzi e dai giovani”, Studio della Commissione federale della gioventù.

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