Nove anni di concreta utopia
Dal 2002 alla testa della Fondazione Monte Verità, il direttore Claudio Rossetti lascia la "collina delle utopie" di Ascona per assumere la direzione del settore turistico a Fiesch, in Vallese. Intervista.
Incontriamo Claudio Rossetti in quella che soltanto per qualche giorno ancora è la sua “casa” professionale, ovvero il Monte Verità. Un luogo simbolico per il Ticino e la Svizzera, a cui il direttore ha voluto dare impulsi nuovi durante tutto il suo mandato.
swissinfo.ch: Quale è stato il filo conduttore che l’ha guidata durante il periodo trascorso alla direzione del Monte Verità?
Claudio Rossetti: Sin dall’inizio del mio incarico mi sono reso conto che il Monte Verità – considerata la sua storia – è strettamente legato alla forza dell’utopia. Nel contempo era necessario rispettare l’impegno preso con l’ultimo proprietario, il barone van der Heydt, il quale voleva che questo restasse un luogo di cultura.
Durante questi anni l’utopia ha quindi guidato la mia attività. Non avevo certo la pretesta di essere io a portare una nuova utopia al Monte Verità, ma volevo rendere il Centro culturalmente accessibile a tutti. L’idea non era pertanto quella di creare dell’utopia, bensì di diffonderla, di farla conoscere il più possibile e al maggior numero di persone.
In quest’ottica abbiamo per esempio istituito il “Premio utopia” al festival cinematografico Castellinaria di Bellinzona, attribuito alla pellicola che meglio interpreta il sogno, il coraggio e la ricerca interiore.
Abbiamo inoltre aperto delle “ambasciate dell’utopia” in luoghi simbolici [l’ultima è stata inaugurata a fine 2010 sul passo Drolma-La al Monte Kailash, in Tibet, e l’ambasciatore ne è il Dalai Lama] e proposto iniziative di utopia… turistica, come il trekking fluviale Ascona-Venezia.
swissinfo.ch: La storia del Monte Verità e delle utopie che vi sono state coltivate l’hanno reso più difficilmente accessibile alla popolazione?
C. R.: Personalmente sono convinto che il Monte Verità non è un luogo prettamente accademico e distante, come alcuni ritengono. Basta pensare proprio alla sua storia: gli anarchici che si incontravano sulla collina auspicavano infatti una forma molto popolare di gestione dello Stato. Lo stesso vale per chi predicava l’amore libero, la vita a contatto con la natura, la cucina vegetariana: si tratta di concetti pratici, non teorici.
Fedeli a questo spirito, nel nostro programma culturale hanno quindi trovato spazio anche momenti di grande coinvolgimento – come il concerto di Andrea Mingardi –, spettacoli di cabaret e il Festival culturale “Racconti al Monte”, che ha portato in collina migliaia di spettatori.
Pure la divulgazione scientifica, legata all’attività del Centro Stefano Franscini del Politecnico di Zurigo, ha suscitato interesse grazie alle serate pubbliche organizzate dalla Fondazione. Per esempio, durante una settimana di studio sulla vulcanologia è stata organizzata un’apprezzata serata pubblica sulle conseguenze delle eruzioni per il traffico aereo.
swissinfo.ch: La gestione di un centro come quello del Monte Verità implica anche un occhio attento ai costi. Quali sono le prospettive da questo punto di vista?
C. R.: Quando ho assunto la direzione la situazione finanziaria non era per niente rosea, dato che nel corso degli anni precedenti si erano accumulate perdite in serie. Tuttavia, grazie a importanti investimenti nel marketing e nelle strutture – per esempio il restauro delle camere dell’albergo in stile Bauhaus – la cifra d’affari è passata da 2 milioni di franchi l’anno a più di 5 milioni, considerando anche la gestione della ristorazione alle Isole di Brissago, di cui si occupa la Fondazione Monte Verità.
Ovviamente questi interventi hanno dei costi, mentre i risultati si riscontrano più a lungo termine. Ciononostante sono fiducioso: sia perché prossimamente ci sarà un aiuto finanziario da parte del Cantone, sia perché i progetti terminati e quelli in corso – quali il restauro e la riapertura del museo di casa Anatta – assicurano al Monte Verità dei punti di forza importanti per affrontare il futuro.
swissinfo.ch: Come si inserisce il Monte Verità nell’offerta turistica ticinese, caratterizzata da una crisi che dura ormai da alcuni anni?
C. R.: Farei soprattutto una riflessione generale. Il Ticino non ha, a mio parere, una vera cultura turistica. Basti pensare che alle nostre latitudini gli svizzero-tedeschi sono stati a lungo considerati soprattutto delle “vacche da mungere” o acquirenti di terreni, non una risorsa da coltivare e fidelizzare. Come altrove nel mondo, si sapeva che tanto il flusso turistico sarebbe in ogni caso continuato.
Ora la situazione è mutata: i turisti – soprattutto svizzeri – diretti a sud tirano dritto, senza fermarsi in Ticino. Credo però che le nuove generazioni – anche grazie alla Scuola del turismo di Bellinzona – sapranno colmare questa lacuna, contribuendo al cambiamento di mentalità.
Contemporaneamente è però indispensabile una valutazione globale senza condizionamenti politici per capire in quale direzione vuole muoversi il turismo ticinese, a chi ci si vuole rivolgere e con quali proposte.
swissinfo.ch: Cosa l’ha convinta a lasciare la direzione del Monte Verità per affrontare una nuova sfida?
C. R.: Dopo un certo periodo, solitamente si tende quasi a “fondersi” con il proprio ambiente di lavoro, arrivando in un certo senso ad appropriarsene. Non volevo che il Monte Verità diventasse il “mio” Monte Verità: di conseguenza ho colto una nuova opportunità.
A Fiesch mi attende un contesto completamente diverso da quello in cui ho lavorato negli ultimi nove anni: si tratta di una località con 900 posti letto e numerose strutture sportive, che mira a espandersi ulteriormente. Ciò rappresenta una bella sfida, a contatto con i giovani e in un contesto – quello della montagna – che amo da sempre.
Nel 1900 Henri Oedenkoven, figlio di un industriale belga, fondò con la compagna e alcuni amici una colonia naturista vegetariana sulla collina di Ascona, chiamata Monte Verità.
I fondatori vi proponevano uno stile di vita libero dalle convinzioni borghesi, a contatto con la natura e i suoi elementi.
Dal 1925 al 1964 il Monte Verità appartenne al banchiere e collezionista d’arte germanica Eduard von der Heydt, che vi fece costruire un albergo in stile Bauhaus. La collina diventò un luogo d’incontro mondano, capace di richiamare intellettuali, artisti, finanzieri e politici.
Nel corso della sua storia, il Monte Verità ha accolto personalità quali Hermann Hesse, Erich Maria Remarque, Jean Arp, Isadora Duncan ed Emmy Hennings.
Nel 1964 il barone von der Heydt donò la proprietà del Monte Verità, inclusa parte della propria collezione d’arte orientale, al Cantone Ticino.
Dal 1989, con la costituzione della Fondazione Monte Verità, il centro ospita importanti congressi scientifici e umanistici, in particolare grazie alla collaborazione con il Centro Franscini – Monte Verità del Politecnico federale di Zurigo.
Dal 2003 il centro è pure considerato dall’UNESCO un luogo di dialogo culturale, di “spiritualità aperta” e d’incontro tra Occidente e Oriente su tematiche legate alla ricerca della pace e alla protezione dei diritti umani.
La Fondazione Monte Verità, attraverso una rete di Ambasciate dell’utopia, vuole diffondere in luoghi simbolicamente importanti il concetto di utopia nel mondo, intesa come strumento necessario a mantenere la forza per raggiungere un obiettivo.
Nel corso degli ultimi anni sono state aperte delle sedi a Quito (salvaguardia della foresta amazzonica), a Grozny (per le vedove e gli orfani dell’oppressione russa e a favore di un paese indipendente e sicuro), a Gaza (per aprire i cancelli dal grande carcere a cielo aperto), a Kabul (per sottolineare la forza dell’istruzione nella ricerca di soluzioni pacifiche), a Napoli (tradizione musicale) e a New Orleans (per la salvaguardia della prima chiesa degli schiavi).
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