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«Siamo soccorritori, non giudici»

Le due valanghe staccatesi nella Diemtigtal hanno causato la morte di sette persone. Keystone

Il bilancio delle due slavine staccatesi domenica nell'Oberland bernese è pesante: dopo il ritrovamento, martedì mattina, dei corpi di tre dispersi, il numero dei morti è salito a sette. Fra questi c’è anche un medico della Guardia aerea svizzera di soccorso (Rega).

È la prima volta nella storia che la Rega lamenta la perdita di un membro del proprio equipaggio impegnato sul luogo di una slavina. In altri tipi di operazioni di soccorso, la Rega, fondata nel 1952, ha perso negli anni altri sei collaboratori.

Le due valanghe scese nella Diemtigtal hanno inoltre causato una delle più gravi tragedie in Svizzera. Era dal 1999 che non perivano così tante persone sotto la massa nevosa. Undici anni fa, a Evolène in Vallese, due slavine avevano travolto alcuni chalet, uccidendo dodici persone.

swissinfo.ch ha parlato con Bruno Jelk, capo del soccorso di montagna di Zermatt.

swissinfo: Cosa ha pensato quando ha saputo della morte del suo collega?

Bruno Jelk: Per noi della Guardia aerea svizzera di soccorso (Rega) è stato un duro colpo. È la seconda volta quest’inverno che si verifica una tragedia simile: in dicembre nel Trentino sono morti quattro soccorritori nel tentativo di salvare due escursionisti.

swissinfo: Anche i soccorritori devono porsi dei limiti, oltre i quali un loro intervento non è sostenibile?

B.J.: Certo. Bisogna evitare di peggiorare la situazione, mettendo magari a repentaglio la nostra vita. Anche d’estate, quando interveniamo a piedi, è necessario sempre valutare attentamente le condizioni e se il rischio è eccessivo, dobbiamo rientrare alla base.

Ci si deve sempre mettere in marcia, ma bisogna anche avere il coraggio di sospendere un’azione di soccorso. Anche per noi ci sono dei limiti, oltre i quali non dovremmo andare.

Lo scorso inverno – per esempio – sei alpinisti erano dispersi su un ghiacciaio. Ci siamo recati sul posto di notte, ma abbiamo dovuto abbandonare le ricerche poiché i rischi erano eccessivi.

swissinfo: Non sono decisioni facili da prendere…

B.J.: In quello specifico caso, gli alpinisti sono sopravvissuti alla loro disavventura. Ciò che conta per noi, è non doverci rimproverare nulla perché abbiamo fatto tutto ciò che era nelle nostre possibilità per soccorrere queste persone.

swissinfo: Capita spesso che degli sciatori non rispettino né le regole di sicurezza, né le demarcazioni ai bordi delle piste battute e provochino così delle valanghe. Anche in questi casi, i soccorritori trovano le giuste motivazioni per intervenire sul luogo dell’incidente?

B.J.: Siamo dei soccorritori, non dei giudici. Il nostro compito è di aiutare le persone che si trovano in difficoltà. Non è nostro compito giudicare il loro comportamento o i loro errori.

La nostra sicurezza rimane sempre al primo posto. Se uno scalatore precipita in una parete rocciosa e le sue possibilità di sopravvivenza sono ridotte al lumicino, in quel caso anche noi non corriamo dei rischi inutili. Se per lui ci sono invece delle buone possibilità di uscirne vivo, allora tentiamo in tutti i modi di soccorrerlo.

Ovviamente, mi fanno arrabbiare quelle persone che, malgrado gli avvertimenti dei guardiani delle capanne o delle guide alpine, si avventurano in alta montagna mettendo in pericolo la loro vita e quella dei soccorritori.

swissinfo: L’utilizzo degli apparecchi di ricerca in valanga (Arva) o del cellulare spingono le persone ad assumere maggiori rischi?

B.J.: Ci sono due aspetti da considerare. Questi dispositivi hanno dei grandi vantaggi, poiché grazie al loro utilizzo è possibile salvare tante vite. Molte persone non sarebbero sopravvissute, se non fossero state munite – per esempio – di Arva. Oggi, inoltre, l’80% delle chiamate di soccorso avvengono tramite cellulare.

Lo svantaggio è che le persone corrono più rischi rispetto al passato. Specialmente d’estate, gli escursionisti partono senza valutare attentamente l’evoluzione della meteo. E quando si trovano in difficoltà, ci fanno semplicemente una telefonata.
Prima di lanciare l’azione di soccorso, dobbiamo valutare quindi attentamente la situazione. Le persone che ci hanno chiamato si trovano davvero in pericolo? Il nostro intervento è necessario?

swissinfo: Ci sono stati dei momenti in cui ha messo a repentaglio la sua vita?

B.J.: Ho già vissuto a più riprese situazioni di questo tipo, spesso durante azioni di soccorso normali, quando si sono verificati degli imprevisti. Una volta sono finito all’ospedale dopo essere stato investito da una caduta di sassi. In un’altra occasione, il moschettone con il quale volevo attaccarmi al cavo metallico di una funivia si è spezzato e ho rischiato di precipitare nel vuoto per 130 metri. Sono riuscito a salvarmi afferrando la maniglia della porta della cabina.

swissinfo: Chi è chiamato a sostenere i costi di una ricerca?

B.J.: È la persona coinvolta nell’incidente a dover rispondere dei costi e spetta a quest’ultima rivolgersi alla sua assicurazione.

Il comportamento di coloro che praticano lo sci fuoripista è tema di accese discussioni in Svizzera. In Vallese – per esempio – sono state denunciate le tre persone che avevano provocato una valanga sciando fuoripista. La slavina aveva investito due sciatori che si trovavano su una pista marcata, uno dei quali ha riportato delle ferite che ne hanno richiesto l’ospedalizzazione.

Non posso comunque dirle quali saranno le decisioni dei giudici. È tuttavia importante rianalizzare la situazione.

swissinfo: Chi risponderà per la morte del medico della Rega?

B.J.: È stata una fatalità. Il dottore stava facendo il suo dovere e il caso ha voluto che una seconda slavina lo investisse.

Jean-Michel Berthoud, swissinfo.ch
(traduzione di Luca Beti)

Secondo i dati dell’Istituto per lo studio della neve e delle valanghe (SLF), in Svizzera le vittime delle slavine sono 25 all’anno. Si tratta di una media calcolata sul lungo periodo. Lo scorso inverno i morti sono stati 28, l’anno precedente 11.

Il numero di vittime si è ridotto nel corso degli ultimi anni. Lo SLF attribuisce questa tendenza ad un miglioramento dei materiali e alla preparazione dei gruppi di escursionisti, sempre più spesso in grado di prestare soccorso con successo ai compagni in difficoltà.

La valanga nella Diemtigtal ha portato a otto il numero di vittime registrate dall’inizio della stagione invernale. Le statistiche pluriennali parlano – per il periodo che va dall’inizio della stagione alla fine di gennaio – di una media di 3,7 decessi.

Le leggi svizzere permettono di sanzionare chi pratica sci fuoripista provocando delle valanghe. Lasciare i percorsi segnati non è tuttavia illegale.

Solo se un freerider entra in una zona pericolosa – spiega l’avvocato vallesano Pierre-André Veuthey – può essere denunciato per disturbo del traffico pubblico. Una condanna può essere pronunciata anche in assenza di vittime: il fatto di aver provocato una valanga e, quindi, di essere all’origine di una situazione potenzialmente pericolosa, è sufficiente.

I gestori degli impianti di risalita sono responsabili della demarcazione e della sicurezza delle piste. Cartelli d’avvertimento e sbarramenti dovrebbero limitare la pratica del fuoripista. Per Eric Balet, direttore di Téléverbier, è tuttavia impossibile impedire completamente questo tipo di discese. Bisognerebbe mandare la polizia sulle piste e questa misura non è in discussione.

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