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Una svizzera all’ombra dell’Himalaya

Mara Casella impegnata nella sua attività quotidiana swissinfo.ch

Nel 2005 Mara Casella ha lasciato la Confederazione per andare a vivere in India, nel Ladakh, dove lavora con bambini che soffrono di handicap fisici e mentali. swissinfo.ch l'ha intervistata.

Mara Casella – esperta in pedagogia curativa, con una lunga esperienza nel settore dell’educazione ai disabili – è partita per la sua avventura nel Ladakh già da alcuni anni. La sua tenacia le ha permesso di fondare la scuola Munsel (che in lingua ladakhi significa «uscire dal buio e dall’ignoranza, ritrovare la speranza»), destinata a bambini e ragazzi disabili.

swissinfo.ch: Perché partire? Perché proprio il Ladakh?

Mara Casella: Ho sempre voluto trasferirmi all’estero per fare un’esperienza che mi permettesse di aiutare gli altri. Non avevo comunque individuato una destinazione precisa. Nel 2003 ho avuto la possibilità di visitare il Ladakh, e lì ho avvertito delle sensazioni molto positive. Mi sono trovata bene in quel luogo, con quelle persone: ho dunque deciso che era giunto il momento di cambiare vita.

Tornata in Svizzera, ho quindi cominciato a pianificare la mia partenza, avvenuta nel 2005. La preparazione è stata lunga: ho dovuto liquidare i moltissimi aspetti burocratici e (re)imparare l’inglese, che avevo quasi dimenticato. Quella di partire è stata una scelta che non ho mai rimpianto, nemmeno per un momento.

swissinfo.ch: Una volta giunta sul posto, quali sono state le sue priorità?

M.C.: Sono arrivata in Ladakh con le mie valigie e un’amica che mi aveva accompagnata. All’inizio ho alloggiato provvisoriamente in una guest-house, cercando però di trovare il più presto possibile una sistemazione presso la popolazione locale, anche perché le mie risorse economiche erano modeste.

Dal profilo professionale, ho subito avuto contatti con famiglie indigene che avevano bambini con handicap. Per due anni e mezzo, ho quindi lavorato nelle famiglie stesse e in un istituto vicino alla capitale Leh.

Il problema è che nel Ladakh non vi era praticamente nessuno con una formazione specifica per occuparsi di queste problematiche. Questi bambini erano quindi integrati nella normale scuola governativa: io li seguivo invece in modo personalizzato.

swissinfo.ch: Come è proseguita l’avventura?

M.C.: Dopo due anni e mezzo dal mio arrivo – il periodo a mio parere necessario per conoscere la realtà del Ladakh, capirne le necessità e prendere confidenza con la lingua locale – ho cercato, insieme ai genitori, di realizzare una struttura nuova nella regione di Leh.

E così, grazie all’aiuto di molte persone e dell’associazione di sostegno Gamyul-Phanday in Svizzera, nel 2008 abbiamo potuto inaugurare la scuola, che consiste in due locali.

swissinfo.ch: In che modo si svolge una sua giornata-tipo?

M.C.: Mi alzo presto, poiché alle 7 devo andare a prendere l’acqua da riscaldare per l’igiene personale e per cucinare. In seguito mi sposto alla scuola, dove per prima cosa mi occupo delle pulizie: abbiamo un aspirapolvere, ma spesso non funziona poiché manca l’elettricità… Poco dopo arrivano i bambini, e inizia la giornata di lavoro vera e propria.

swissinfo.ch: Che tipo di attività proponete?

M.C.: Dipende dal grado di handicap, anche se spesso non è possibile disporre di una diagnosi precisa a causa della distanza dai centri medici qualificati.

Con alcuni ragazzi – complessivamente l’anno prossimo ne accoglieremo dodici – ci dedichiamo all’apprendimento di lettere e numeri, alla pronuncia. Altri soffrono invece di handicap più gravi, come forme di autismo: in questo caso dobbiamo concentrarci sui bisogni elementari, ad esempio insegnare loro a nutrirsi e a gestire il proprio corpo.

swissinfo.ch: Le manca qualche aspetto della Confederazione?

M.C.: A dire il vero l’unico elemento della mia vita precedente che talvolta rimpiango è l’alimentazione, in particolare la varietà del cibo. Il Ladakh è infatti un luogo isolato, e soprattutto durante i mesi invernali la dieta è limitata: patate, carote, cipolle, rape, lenticchie, riso.

Si tratta di alimenti che le famiglie coltivano nel proprio orto e poi conservano. Durante il periodo più freddo dell’anno le strade sono infatti chiuse, e non vi sono approvvigionamenti: quindi per esempio impossibile trovare frutta. Ma questo è davvero l’unico elemento di nostalgia, considerando che trascorro comunque tre mesi in Svizzera per stare con la mia famiglia e far conoscere l’associazione.

Anche la vita spartana non mi pesa. Già durante gli anni in cui ho abitato nella Confederazione la mia esistenza era molto semplice. Apprezzavo moltissimo trascorrere del tempo in una cascina in montagna, immersa nella natura.

swissinfo.ch: Quale è la vostra necessità più urgente?

M.C.: Il personale. I genitori dei bambini sono preoccupati: se mi dovesse succedere qualcosa, o se dovessi partire, nella regione non vi è nessuno con un’istruzione specifica per lavorare in questo settore.

Il nostro obiettivo principale è dunque assicurare il futuro. Io mi occupo già di trasmettere le conoscenze necessarie ai miei colleghi ladakhi, perché è fondamentale che un giorno la struttura possa funzionare autonomamente grazie a personale locale. Per le esigenze più pratiche, fortunatamente possiamo contare sulla generosità di quanti ci sostengono.

Andrea Clementi, swissinfo.ch

Mara Casella è nata a Bellinzona nel 1957 e ha una figlia. Dopo aver conseguito il diploma di maestra di scuola elementare, si è laureata in pedagogia curativa all’Università di Friburgo.

Tra il 1991 e il 2001 è stata responsabile pedagogica del settore adulti presso l’Istituto Les Buissonnets di Friburgo e ha insegnato nel servizio di supporto per i bambini disabili integrati nelle classi di scuola elementare e media.

Dal 2005 vive a Leh (3’500 metri di altitudine), capitale del Ladakh, dove è docente, coordinatrice e formatrice della scuola per bambini disabili di Leh, fondata nel 2008.

Il fotografo Jean-Marc Giossi ha realizzato nel 2009 un film, intitolato Mara’s dream (il sogno di Mara).

Il Ladakh è situato nell’India settentrionale, al confine con il Tibet e il Pakistan. D’estate le temperature salgono fino a 40 gradi, d’inverno il termometro scende fino a 30 gradi sotto zero.

I 150’000 ladakhi sono principalmente contadini. Protetta dalle piogge monsoniche indiane dalle catene montuose dell’Himalaya, l’agricoltura si sviluppa – nei sei mesi estivi – nelle oasi irrigate dalle acque provenienti dal disgelo dei ghiacciai.

Nel Ladakh l’agricoltura è un’attività esclusivamente manuale, praticata in collaborazione con la comunità del villaggio. In seguito alla costruzione di strade e con l’apertura della regione al turismo, a partire dal 1970, l’agricoltura indigena è stata però vieppiù trascurata.

Fonte: Direzione dello sviluppo e della cooperazione

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