Dal «pho» alla fondue
Per scelta o per cause di forza maggiore, migliaia di vietnamiti hanno abbandonato il paese d'origine e le tradizionali zuppe di riso per installarsi in Svizzera.
30 anni dopo la fine della guerra del Vietnam, sono numerosi gli studenti ed ex rifugiati che detengono ora un passaporto rossocrociato.
«All’inizio non sopportavo il formaggio, ma oggi lo apprezzo moltissimo», ci confida Nguyen Thanh Dung, delegato vietnamita nella direzione del Forum svizzero per l’integrazione delle migranti e dei migranti (Fimm).
Per i vietnamiti giunti in Svizzera, il balzo nella nuova società – simbolicamente rappresentato dal passo che dal “pho”, la tipica zuppa vietnamita, porta alla fondue – non è stato evidente. «Soprattutto durante i primi anni, abbiamo dovuto affrontare i problemi legati alla lingua e alla diversità culturale», indica Nguyen Thanh Dung.
I numerosi migranti giunti dal Paese asiatico sono però riusciti a superare i vari ostacoli ed oggi i membri della comunità vietnamita, in particolare i figli della seconda generazione, possono considerarsi ben integrati nella realtà elvetica.
Alla fine del 2004, quasi 4’500 vietnamiti risiedevano sul territorio. La cifra non tiene però conto di coloro che dopo una lunga permanenza hanno ottenuto la naturalizzazione.
Presenti ovunque, ma un po’ passivi
Attivi in vari settori professionali (insegnamento, salute, industria, commercio), i vietnamiti sono pure presenti nel mondo accademico e il lavoro di alcuni ingegneri è ben apprezzato in ambito informatico.
Il fiorire di un numero crescente di negozi, ristoranti, bar e take-away asiatici ad ogni angolo della strada, è inoltre caratterizzato dalla forte presenza della cucina “Made in Vietnam” che, in particolare nella Svizzera Romanda, prende sempre più piede.
«Devo però ammettere che a volte siamo un po’ passivi», osserva il delegato al Fimm, facendo riferimento alla scarsa partecipazione alla vita politica e sociale.
L’arrivo dei rifugiati
Prima della separazione del Vietnam in Nord e Sud nel 1954 – sancita dalla Conferenza di Ginevra per porre fine alla guerra in Indocina – non c’era praticamente nessun cittadino vietnamita in Svizzera.
A partire dal 1964, cominciarono ad arrivare soprattutto studenti che per tradizione espatriavano nei paesi francofoni dell’Europa per proseguire la loro formazione. I giovani vietnamiti si concentrarono soprattutto attorno alle Università di Ginevra e Losanna.
Con l’inasprirsi della guerra tra i comunisti di Hanoi e il governo filoamericano di Saigon, all’inizio degli anni ’70 iniziarono i programmi umanitari in favore dei bambini. Orfani e infermi furono presi a carico dalla fondazione Villaggio Pestalozzi, da Terre des Hommes e dalla Croce Rossa. Alla fine della guerra (1975), oltre un migliaio di vietnamiti si trovavano in Svizzera.
Poi venne l’epoca del grande esodo. In seguito all’accordo tra l’Alto commissariato ONU per i rifugiati e i Paesi occidentali, che si impegnarono ad accogliere i cittadini perseguitati dal governo comunista, tra il 1979 e il 1984 giunsero in Svizzera numerosi vietnamiti. Berna accolse oltre 6’000 rifugiati.
Tra questi anche Nguyen Thanh Dung, che si ricorda dei momenti difficili all’inizio della sua nuova vita all’estero: «Quello che mi ha scioccato maggiormente sono state alcune esternazioni xenofobe. Riconduco però queste reazioni ad una certa dose di ignoranza su quella che era la situazione dalla quale fuggivamo».
Una nuova nazionalità
Nel corso degli anni ’90, i vietnamiti censiti dall’Ufficio federale di statistica diminuirono: dopo oltre un decennio in Svizzera, molti di loro hanno infatti conseguito la cittadinanza elvetica.
«Questo rappresenta finalmente un passo concreto. Con un passaporto, esisto ufficialmente», afferma Nguyen Thi Xuan Trang, una rifugiata che ha ottenuto la naturalizzazione nel 1992.
Si calcola che finora siano circa 3’000 i vietnamiti ad aver ricevuto il passaporto rossocrociato.
Seguire i giovani
Dopo quasi mezzo secolo di presenza in Svizzera, le famiglie vietnamite sono oggi confrontate ad una situazione nuova. Considerando i primi studenti, i rifugiati e i figli nati qui, sono tre le generazioni che si sovrappongono. «Ognuno ha la sua mentalità e non sempre i modi di vedere coincidono», rileva il delegato al Fimm.
All’idea di ritrovarsi in una casa di riposo, gli anziani optano così per un ritorno nella terra d’origine, mentre i giovani preferiscono installarsi definitivamente in Svizzera.
Ma proprio i giovani vietnamiti sono per Nguyen Thanh Dung fonte di preoccupazione. «Ci stiamo impegnando per aiutarli a superare i problemi legati alle crisi d’identità e adolescenziali».
Un lavoro in questo senso è svolto all’interno delle comunità cattoliche, una componente molto presente della diaspora vietnamita in Svizzera.
swissinfo, Luigi Jorio
La comunità vietnamita in Svizzera si organizza attorno a varie associazioni di natura religiosa (buddista e cattolica), politica (veterani di guerra, ex prigionieri politici) e sportiva (arti marziali).
Sebbene in Vietnam i cristiani rappresentino una minoranza, la diaspora in Svizzera è molto attiva all’interno di varie missioni cattoliche.
Accanto al Nuovo anno vietnamita (il “Tet”), festeggiato tra gennaio e febbraio, si celebrano così anche il Natale, la Pasqua e il Capodanno.
Ogni due anni, si ricordano inoltre i santi martiri del Vietnam.
Alla fine del 2006, erano 4’512 i vietnamiti residenti in Svizzera.
Nel 1993 erano invece 7’357.
Circa 3’000 persone originarie dal Vietnam hanno ottenuto la cittadinanza elvetica.
In Ticino risiedono una sessantina di vietnamiti.
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