A piedi verso l’Australia
A metà Ottocento diversi ticinesi abbandonarono i loro villaggi alla volta dell'Australia. Reportage dal passo Sassello, antico punto di transito di chi lasciava la povertà delle valli in cerca di fortuna oltremare.
I timori della vigilia sono confermati già dopo pochi minuti: la salita al passo Sassello (2’234 m) è impegnativa e faticosa. Il sentiero che attraversa la foresta di conifere e s’inerpica sulle pendici rocciose al di sopra di Fusio, ultimo paese della Valle Maggia, concede poche tregue.
«Sono salito al Sassello 45 anni fa, all’epoca del servizio militare: ricordo di aver ‘sputato sangue’. E oggi non va certo meglio…». Il viso di Piergiorgio Baroni, giornalista ed appassionato di emigrazione ticinese, è grondante di sudore.
«Penso ai nostri antenati che sono passati da qui 150 anni fa: dovevano veramente vivere in condizioni terribili per caricarsi tutto sulle spalle e scalare queste montagne, prima tappa del lungo viaggio verso l’Australia».
Sfuggire dalla povertà
L’occasione di ricalcare le tracce degli emigranti è stata proposta da alcuni club montani (Società alpinistica valmaggese, Società escursionistica verzaschese e Società alpinistica ticinese), promotori di un’escursione lungo il sentiero che collega Fusio ad Airolo, in Leventina. Una gita dal sentore antico, in memoria di una delle pagine più significative – e per molti versi drammatiche – della storia della Svizzera italiana.
Dopo due ore abbondanti di marcia a ritmo sostenuto, finalmente la cima. Sul passo Sassello si respira la fresca brezza delle Alpi e la vista che si apre sul massiccio del San Gottardo ricompensa ogni fatica. Una visione che doveva al contrario affliggere i migranti di allora: siccome il tunnel ferroviario non esisteva ancora, il Gottardo rappresentava un ulteriore ostacolo da superare con la sola forza delle gambe.
Dal marzo 1854 alla fine di giugno 1855 – si legge in una pubblicazione dello storico Giorgio Cheda, autore di un’ampia ricerca sul tema – circa duemila ticinesi si recarono in Australia. Per gli abitanti delle valli, in Ticino come nei vicini Grigioni, il continente oceanico rappresentava la via d’uscita alla povertà che affliggeva il mondo contadino.
La morte invece della 1. classe
Passato il Gottardo, la gente proseguiva solitamente a piedi fino a Flüelen, sul lago dei Quattro Cantoni, dove s’imbarcava per Lucerna. Poi in carrozza fino a Basilea, prima di discendere il Reno o salire sul treno in direzione dei porti d’imbarco di Amburgo, Londra o Dieppe, in Francia.
«Il viaggio in mare durava al minimo tre mesi», racconta Baroni. «Ricordo di aver visto un modello di queste navi in un museo di Melbourne: mi è venuta la pelle di gallina quando ho visto in che condizioni miserabili erano alloggiati i nostri antenati. E pensare che le agenzie migratorie pubblicizzavano viaggi in prima classe e cibo in abbondanza».
La voce di Baroni, che in cima al Sassello ci legge alcune vecchie testimonianze, si fa triste. «Alcuni giunsero a destinazione già morti». Chi invece mise piede sul nuovo continente ebbe un’amara sorpresa. La corsa all’oro tanta decantata dagli armatori era già al tramonto e sul terreno rimanevano soltanto sassi e polvere. Altro che pepite.
«Il Ticino – spiega a swissinfo Giorgio Cheda – era l’unico cantone a non disporre di una legge che regolasse le attività delle compagnie di trasporto, le quali hanno potuto, per un anno e mezzo o due, fare il brutto e il cattivo tempo». Le lettere spedite a casa dai migranti hanno in seguito permesso di rivelare le menzogne degli amministratori navali, la cui attività fu bandita dalle autorità.
Sulle tracce del nonno
«Anche tu avevi antenati che sono emigrati?», chiede un’escursionista sul sentiero che scende verso Airolo. « Mio nonno era partito per la California», risponde una gagliarda camminatrice, mostrando il vecchio passaporto di Silvio Domenighini, classe 1895. «D’altronde – aggiunge – sono poche le famiglie ticinesi a non avere antenati che sono partiti all’estero».
Giunti alla capanna Garzonera, a 1’900 m, un piacevole incontro completa questa giornata “della memoria”. Helen McPherson ha compiuto il viaggio a ritroso, giungendo da Melbourne al Ticino alla ricerca delle sue origini.
«Mi piacerebbe trovare la tomba di mio nonno, Carlo Sartori, migrato in Australia dalla Valle Maggia e ritornato nel suo villaggio di Giumaglio. È una strana sensazione… pensare che passò da questa strada».
Helen capisce soltanto qualche parola d’italiano. La lingua dei suoi avi è persa nel tempo. «È un peccato; la comunità dei discendenti degli svizzeri italiani è infatti molto numerosa nello Stato di Vittoria».
Per la gioia di Helen, suo marito Giuliano è un locarnese puro. La sorte ha voluto che si conoscessero durante la sua prima visita in Ticino. Pensavo scoprire il passato, confida, ma ho trovato il futuro.
swissinfo, Luigi Jorio, passo Sassello
I primi ticinesi a imbarcarsi per l’Australia, nella primavera del 1851, furono due muratori della Valle Maggia (fonte: Giorgio Cheda, L’emigrazione ticinese in Australia, Edizioni Armando Dadò, 1979).
Il flusso migratorio verso il continente oceanico si concentra soprattutto tra il marzo 1854 e il giugno 1855, periodo in cui circa 2’000 ticinesi lasciano le valli (principalmente del Locarnese) in direzione di Melbourne e Sydney.
Contrariamente alle promesse delle compagnie di migrazione – che garantivano lauti guadagni in Australia – sono in pochi a fare fortuna. La corsa all’oro è sulla via del tramonto e molti ritrovano la condizione di miseria che si erano lasciati alle spalle.
L’emigrazione verso l’Australia è un fenomeno che coinvolge anche la Val Poschiavo (regione italofona dei Grigioni) e alcuni cantoni svizzeri tedeschi.
Il gold rush australiano attira migliaia di italiani, in particolare dalla Lombardia, dal Veneto e dal Piemonte.
La Valtellina, caratterizzata nel XIX secolo da un’endemica povertà rurale, rappresentò per alcuni decenni la fonte principale dell’emigrazione italiana verso il continente oceanico.
Prima del 1880 il numero degli italiani ad aver raggiunto l’Australia fu esiguo (poche centinaia). Verso la fine del secolo circa 2mila persone arrivarono nelle regioni del Queensland e dell’Australia occidentale.
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