Couchepin per un’ulteriore apertura della Svizzera
Pascal Couchepin, presidente della Confederazione per il 2003, ritiene che la Svizzera debba aderire all'Unione europea. Ma l'avvicinamento deve avvenire a tappe.
Le sfide per il futuro nell’intervista di Imogen Foulkes e Olivier Pauchard di swissinfo.
Il consigliere federale vallesano si appresta ad accedere per la prima volta in carriera alla carica di presidente.
Lo fa sullo sfondo delle estenuanti trattative con l’Ue in materia di tassazione dei risparmi. Un negoziato, che tornerà in scena nel 2003, determinante per il futuro del segreto bancario elvetico.
Inoltre Couchepin assume il comando poco tempo dopo il risicato no all’iniziativa UDC in materia d’asilo. La proposta, accettata da uno svizzero su due, avrebbe praticamente cancellato il diritto d’asilo in Svizzera. Un tema che nel 2003, con la prevista revisione della legge sull’asilo, resterà attuale.
swissinfo: Signor Couchepin, che importanza ha la carica di presidente? (attribuita ogni anno a rotazione tra i sette membri del Consiglio federale)
“È un ruolo importante. In primo luogo il presidente dirige le sedute del governo e deve perciò contribuire al mantenimento di un’atmosfera positiva tra i diversi membri. Secondariamente ha una funzione di rappresentanza nei confronti dell’estero più marcata rispetto agli altri consiglieri federali”.
Nel suo anno presidenziale, quali sono gli aspetti che più le stanno a cuore?
“Il punto essenziale, che fa parte dei compiti ordinari di un presidente della Confederazione, è rinforzare la coesione nazionale e la comprensione tra le regioni linguistiche”.
All’estero ci si stupisce spesso di un paese nel quale si parlano 3-4 lingue. Qual è la vostra opinione sull’insegnamento prioritario dell’inglese, tema piuttosto attuale?
“È sbagliato pensare che gli svizzeri parlano 2 o 3 lingue. Molti ne parlano una sola. La Svizzera non è un paese dove tutti parlano diverse lingue ma uno Stato dove più lingue coesistono. La differenza è importante.
A proposito dell’inglese, penso sia comunque più sensato apprendere l’inglese con piacere che sentirsi forzati a studiare una seconda lingua nazionale senza volerlo. Ciò detto, auspico pure che le lingue nazionali non vengano trascurate”.
La Svizzera si trova nel cuore d’Europa ma non fa parte dell’Unione europea. 10 anni dopo il rifiuto dello SEE, come vede la situazione attuale e, in prospettiva, un’eventuale adesione?
“Prima di tutto, durante i miei viaggi all’estero in questi anni di governo sono stati molti i presidenti o ministri a chiedermi perché non facciamo parte dell’Unione. Di fronte alle mie spiegazioni, molti le comprendevano, altri ne restavano sorpresi. Quindi, dall’esterno, il fatto di restare fuori dall’Ue non è sempre visto come negativo.
Ritengo che dovremmo aderire ma, considerato il nostro sistema di democrazia diretta, dobbiamo compiere un piccolo passo per volta. La decisione deve in ogni caso essere suggellata da un voto popolare. Dunque, soltanto quando avremo risolto tanti piccoli problemi potremo presentarci davanti ai cittadini con la domanda fondamentale: volete aderire?”
Cosa ci dice dei negoziati con l’Ue in merito alla tassazione dei risparmi? Sulla questione lei stesso ha sostenuto alcuni difficili confronti con Bruxelles…
“La nostra proposta di un’imposizione preventiva degli utili generati da capitali europei depositati in Svizzera è molto generosa. Non accetteremo di sopprimere il segreto bancario poiché fa parte del nostro modo d’interpretare i rapporti tra Stato e privati cittadini. Siamo convinti della bontà della nostra offerta. È una soluzione che può essere accettata”.
Tema immigrazione e asilo. Di recente, un’iniziativa piuttosto estrema voluta dalla destra populista ha raccolto quasi il 50% dei favori. Come valuta questa situazione?
“In effetti il Consiglio federale ha vinto per pochi voti. Ciò significa che molte persone in Svizzera sentono questo problema. Ma l’immigrazione non riguarda solo la Confederazione, bensì la maggior parte degli Stati europei. Da noi c’è forse un problema specifico dovuto al fatto che la quota di stranieri è molto alta, quasi il 20% della popolazione. Dovremo essere molto cauti ma, probabilmente, dotarci di nuovi mezzi per distinguere i veri rifugiati da quelli che vengono in Svizzera soltanto per ragioni economiche”.
Una delle ragioni che spiega questo alto numero di stranieri sono le rigide procedure per l’ottenimento della cittadinanza elvetica.
“Anche questo è vero”.
Ne discuterà il parlamento l’anno prossimo. Ritiene che la procedura di naturalizzazione sarà facilitata?
“Sì. Vogliamo garantire la cittadinanza automatica a chi nasce da genitori nati in Svizzera. Non si tratta di niente di straordinario né di rivoluzionario, ma non sarà facile poiché il passo ha una valenza simbolica”.
Oltre alla presidenza, lei ha assunto la direzione del Dipartimento federale dell’Interno con lo spinoso dossier dell’assicurazione malattia. L’attende un bel carico di lavoro…
“Spero che la salute mi permetta di sopportarlo. In ogni caso potrò contare sui miei colleghi e collaboratori. Nel corso dell’anno vedremo poi se il fardello si dimostrerà troppo pesante”.
A causa del dossier dell’assicurazione malattia, la sua predecessora Ruth Dreifuss è stata pesantemente criticata in passato. Cosa intende fare in questo ambito?
“Prima constatazione: nel suo insieme il sistema sanitario svizzero funziona bene rispetto ad alcune realtà internazionali. Da noi la sanità e le sue casse malati non sono sull’orlo del fallimento. La qualità e l’accessibilità alle cure sono garantite a tutti in funzione dei propri bisogni medico-sanitari e non della ricchezza personale.
Ma un tale sistema ha i suoi costi, che oltretutto crescono rapidamente anno dopo anno. Il problema è quindi la capacità a sopportare questo tipo di costi. È su questo aspetto che bisognerà concentrarsi. Nessuno ha l’ambizione di ridurre i premi delle casse malati, ma intendo frenarne l’aumento perché il sistema resti accessibile a tutti.
Un’ultima domanda: ha un desiderio particolare per il 2003?
“A questa domanda prendo sempre in prestito la risposta di Edward Heath, un ex primo ministro britannico: avvenimenti, avvenimenti, avvenimenti. Il tutto per poi poterli affrontare. Il mio obiettivo, che è poi anche la grande sfida per il 2003, è dunque quello di far fronte efficacemente a tutto ciò che potrà accadere nel corso dell’anno”.
swissinfo
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