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Diritti umani, la Svizzera tra il dire e il fare

Simbologia e provocazione: i manifesti dell'Unione democratica di centro swissinfo.ch

Quando si parla di diritti umani, la Svizzera può far valere anni di esperienza nella promozione di trattati internazionali. Ma al suo interno, proprio il diritto internazionale è messo in discussione.

In occasione della festa nazionale, lo stesso ministro della giustizia Christoph Blocher ha criticato il diritto internazionale. È numerose iniziative rischiano di rimetterlo in discussione.

«I diritti umani – checché ne dicano gli ideologi e altri stipendiati del sociale – hanno i loro limiti».

Questa affermazione, apparsa recentemente in un articolo che il settimanale Le Matin dimanche ha dedicato al problema della delinquenza, è senz’altro contestabile, ma ha il pregio di svelare senza troppo giri di parole cosa si nasconda dietro a una serie di dichiarazioni e proposte di legge che animano le discussioni politiche in Svizzera.

Il primo agosto, giorno della festa nazionale, il ministro di giustizia e polizia Christoph Blocher – che, va detto, parlava a titolo privato e non in nome del governo – ha attaccato il diritto internazionale, colpevole – a suo dire – d’imbrigliare la democrazia elvetica e i diritti che quest’ultima riconosce ai suoi cittadini, in particolare i diritti d’iniziativa e referendum.

Una visione delle cose contestata da più parti. Vi si è opposto anche Heinrich Koller che è stato per molti anni direttore dell’Ufficio federale di giustizia e, quindi, stretto collaboratore di Blocher. «Se si sostiene che il diritto internazionale intacca la libertà, si dà una visione distorta delle cose», ha dichiarato Koller in un’intervista rilasciata alla NZZ am Sonntag. «Se la Svizzera esiste come Stato lo si deve anche al diritto internazionale». Un ministro di giustizia ha il dovere di mettere in luce anche questo aspetto, «in caso contrario perde la sua credibilità come garante della giustizia».

È però poco probabile che Blocher cambi atteggiamento. Il suo discorso è perfettamente in linea con la politica del partito che rappresenta, l’Unione democratica di centro (UDC). La destra nazionalconservatrice, infatti, lancia e sostiene in continuazione iniziative che contravvengono alla carta delle Nazioni unite e alla Convenzione europea sui diritti umani. Se accettate dai cittadini e applicate, queste proposte di legge rischiano di creare qualche grattacapo alla Confederazione.

Rischio di violazioni

È già successo, ad esempio, con l’iniziativa per l’internamento a vita dei delinquenti più pericolosi che è stata accettata dai cittadini ad inizio del 2004 con il 56% dei voti e che il parlamento non è ancora riuscito a tradurre in una legge conforme al diritto internazionale. E in attesa di essere sottoposte al voto popolare ci sono altre iniziative che rappresentano una violazione dei trattati internazionali: la concessione della cittadinanza alle urne, il divieto di costruire minareti e l’espulsione dalla Svizzera degli stranieri delinquenti.

Quest’ultima iniziativa, lanciata dall’UDC il primo agosto, rappresenta un ulteriore giro di vite rispetto alla severa legislazione sull’asilo e gli stranieri adottata dal popolo nel settembre del 2006, legislazione che a sua volta si situa – con rischio di sconfinamenti – sulla linea di separazione tra lecito e illecito tracciata dal diritto internazionale.

Il continuo inasprimento delle leggi svizzere è una conseguenza dei timori espressi da una parte della classe politica e della popolazione svizzera nei confronti degli immigrati e del presunto aumento della criminalità. Un tema, questo, abbondantemente coperto dai media del paese.

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Scarto crescente

La corsa a leggi sempre più severe comincia ad inquietare anche al di là dello schieramento di sinistra. «La Svizzera resta uno dei paesi con gli standard più elevati in materia di rispetto dei diritti umani. Anche la nuova legislazione sull’asilo e sugli stranieri – che ho combattuto e che reputo cattiva – non si spinge là dove arrivano le leggi di altri paesi europei», ci tiene a premettere il deputato liberale (destra) Claude Ruey.

Ma Ruey non può che constatare il sempre maggiore scarto tra il forte impegno svizzero in favore dei diritti umani sul piano internazionale e le misure sempre più restrittive proposte o adottate all’interno del paese nei confronti di determinate minoranze.

«Dobbiamo mantenere alto il livello di guardia», insiste Ruey. «E poiché la Svizzera è depositaria delle Convenzioni di Ginevra, città nella quale ha sede il Consiglio dei diritti umani, deve dare l’esempio. In questo momento, però, stiamo sbandando». Un’evoluzione che secondo Claude Ruey non sfugge ai diplomatici del resto del mondo.

Paletti necessari

La situazione preoccupa anche i giuristi, come Walter Kälin, professore di diritto costituzionale e internazionale all’Università di Berna. Esperto di fama internazionale, Kälin ammette il carattere restrittivo del diritto internazionale nei confronti di alcuni diritti dei cittadini. Ma ricorda che si tratta di paletti indispensabili. «In effetti la democrazia ha dei limiti. Non si può organizzare una votazione popolare per decidere un genocidio o instaurare un regime di apartheid», sottolinea Kälin.

«C’è sempre una tensione tra la volontà della maggioranza e i diritti e interessi legittimi delle minoranze», aggiunge Kälin. «La Svizzera non è solo una democrazia, è anche uno stato di diritto».

«Il diritto internazionale pone dei limiti alla volontà della maggioranza. Ma è per proteggere le minoranze e gli individui, ovvero, secondo le circostanze, ciascuno di noi».

Kälin rammenta poi che l’adesione ai trattati internazionali non è stata imposta agli svizzeri: «È sulla base di una decisione autonoma che la Svizzera e il suo parlamento aderiscono ad un trattato internazionale. Inoltre, la maggior parte di questi testi sottostà ad un referendum».

swissinfo, Frédéric Burnand, Ginevra
traduzione e adattamento, Doris Lucini

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Referendum

Questo contenuto è stato pubblicato al Il referendum (facoltativo) permette ai cittadini di chiedere che sia il popolo a pronunciarsi su una legge accettata dal Parlamento. Se i promotori del referendum riescono a raccogliere 50’000 firme in 100 giorni viene organizzata una votazione. Nel caso in cui il Parlamento modifica la Costituzione è previsto invece un referendum obbligatorio. Il referendum facoltativo…

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La priorità del diritto internazionale sul diritto nazionale si è imposta alla metà del XIX secolo, in concomitanza con la nascita della Svizzera moderna.

In seguito all’adozione da parte della Svizzera di un trattato internazionale che era in contraddizione con una legge nazionale, il Tribunale federale (garante della costituzione) si pronunciò in favore del trattato.

Da quel momento, fatta salva qualche eccezione negli anni trenta del Novecento, il principio della priorità del diritto internazionale non è mai stato in discussione se non in un caso legato alla Lex Koller (limitazione dell’acquisto di terreni in Svizzera da parte di stranieri).

Da un punto di vista giuridico, la Svizzera ha la possibilità di ritirare la sua adesione alla Convenzione europea dei diritti umani. Fino ad oggi, solo la Grecia ha fatto questo passo: era l’epoca della dittatura dei Colonnelli e il paese ha poi firmato di nuovo la Convenzione al momento del ritorno alla democrazia.

Non è possibile, per contro, recedere dal Patto sui diritti civili e politici delle Nazioni unite. La Svizzera – così come tutti gli altri paesi membri – non può lasciare la convenzione. Ci ha provato la Corea del Nord che ha però dovuto accettare l’impossibilità di questa opzione.

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