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Quando un sì del paziente non basta

Pochi giorni dopo avere accosentito alla ricerca, due malati su tre ne serbavano un ricordo incompleto Keystone

Non sempre i malati che acconsentono a partecipare a una ricerca medica sono coscienti di quanto accade loro. Lo dimostra uno studio effettuato presso il centro ospedaliero di Ginevra.

Nel reparto di cure intense i pazienti vanno informati ad ogni tappa dell’indagine scientifica. Non basta quindi accontentarsi del loro consenso iniziale.

Per la loro ricerca medica sugli effetti benefici dell’apoliproteina A1 contro le infiammazioni, il dottor Paolo Merlani e un gruppo di colleghi avevano bisogno di effettuare dei prelievi sanguigni regolari su alcuni malati.

La scelta è caduta su 44 pazienti ricoverati nel reparto di cure intense del centro ospedaliero ginevrino HUG.

Ad ognuno dei volontari è stata fornita un’informazione individuale e dettagliata di almeno venti minuti sulla ricerca, completata da un volantino nel quale si fornivano tutte le spiegazioni in merito (scopo, procedura, rischi, benefici).

Risultati preoccupanti

La legislazione elvetica esige infatti il ‘consenso informato’ del paziente prima di poterlo sottoporre a qualsiasi tipo di sperimentazione clinica. “Si espone il malato a un rischio potenziale e in qualche caso, come nel nostro studio, senza che ne possa trarre vantaggi diretti” spiega Paolo Merlani a swissinfo. “È quindi fondamentale assicurarsi che sia pienamente d’accordo di partecipare allo studio”.

Malgrado il rispetto scrupoloso della prassi ordinaria di richiesta del consenso, una decina di giorni dopo l’inizio della sperimentazione arriva la preoccupante smentita: l’equipe medica scopre che il 20% dei volontari non ricorda nemmeno di essere stato incluso in una ricerca, il 54% ne ha scordato lo scopo preciso e il 52% ignora totalmente i rischi ad essa legati.

Sottolineando che lui e i suoi colleghi avevano selezionato unicamente pazienti che apparivano perfettamente in grado di capire la situazione e di prendere liberamente una decisione, il medico dell’HUG afferma: “Eravamo convinti di avere fatto il nostro meglio, affinché l’obbligo di ottenere un consenso volontario fosse rispettato lungo tutto l’arco della nostra indagine”.

Dubbi sul consenso informato

I dati dello studio, pubblicati lo scorso mese di dicembre dalla rivista medica Critical Care, non stupiscono affatto la farmacista Anne-Marie Bollier, portavoce per la Romandia dell’organizzazione svizzera dei pazienti (OSP): “Chi è ricoverato in un reparto di cure intense” dice a swissinfo, “vive una situazione di grande stress perché sente che è in gioco la sua vita. È normale che non si ricordi di avere acconsentito a fare da cavia per una sperimentazione medica…magari per compiacere i dottori nelle mani dei quali ripone il suo futuro”.

C’è quindi da chiedersi quale sia il ruolo e la reale efficacia del principio del consenso informato nel contesto di malati che versano in condizioni critiche.

Di certo, i risultati dello studio condotto dall’equipe dell’HUG, confermati tra l’altro da un’inchiesta analoga fatta presso un gruppo di pazienti in procinto di essere operati, dimostra che la pratica attuale non è sufficiente a garantire pienamente il rispetto di questo principio.

Pazienti particolarmente vulnerabili

“Occorrerebbe vietare espressamente le sperimentazioni su malati in cure intense, tenendo conto del fatto che emotivamente non sono in grado di percepire realmente la situazione”, sostiene Anne-Marie Bollier.

In pratica, la portavoce dell’OSP auspica quanto a livello europeo è previsto nella Direttiva CE del 2001 sulla sperimentazione clinica. Il testo prevede una tutela speciale delle persone che non sono in grado di dare validamente il loro consenso.

“I malati in cure intense sono considerati particolarmente vulnerabili. Secondo questa normativa quindi, difficilmente li si può includere nella ricerca”, spiega il dottor Merlani, precisando tuttavia che nelle loro legislazioni nazionali gli Stati membri hanno applicato queste raccomandazioni in modo assai meno limitativo. “Talune eccezioni sono permesse. Non si transige però mai sulla necessità del consenso scritto e informato del paziente”.

Rinnovare l’accordo nel tempo

Per l’equipe di ricercatori, la proposta di Marie Bollier è troppo drastica: “Vietare ogni tipo di sperimentazione in cure intense bloccherebbe il progresso nella cura di questi pazienti”.

Propone quindi una soluzione intermediaria: rinnovare il consenso nel tempo. “Non basta assicurarsi che il volontario esprima il proprio accordo una volta sola, prima d’iniziare la ricerca”, afferma il dottor Merlani, “bisogna informarlo ripetutamente in modo da permettergli di rinnovare la sua volontà ad ogni tappa della sperimentazione clinica”.

Un messaggio importante per il legislatore, attualmente impegnato nella revisione della legge federale sulla ricerca sull’essere umano.

swissinfo, Anna Passera

L’informazione del paziente è un principio di base non solo nella ricerca ma anche in tutte le fasi della cura dei pazienti.

Esso si concretizza nel diritto del malato di accedere al suo dossier (medico, ospedaliero, infermieristico, ecc.) e nel diritto di ottenere dal personale di cura un’informazione completa, imparziale e veritiera prima di poter decidere se sottoporsi o meno ad un trattamento.

L’informazione deve portare sulla diagnostica, i trattamenti possibili, le modalità, i rischi e i benefici, ma anche sui costi del trattamento (compreso il suo rimborso o meno da parte dell’assicurazione malattia di base).

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