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Schengen vince nelle città

Le frontiere tra Svizzera ed Europa sono un po' più aperte Keystone

Un nuovo passo sul cammino dell'integrazione: il sì delle città e della Svizzera francese spiana la strada all'adesione agli accordi di Schengen e Dublino.

Il risultato dimostra però la forza del fronte antieuropeista. E il pensiero va al prossimo appuntamento alle urne: l’estensione della libera circolazione delle persone ai nuovi stati dell’UE.

In futuro la Svizzera farà parte dello spazio di Schengen e di Dublino. L’accordo di associazione ai due trattati – parte del secondo pacchetto di accordi bilaterali con l’Unione europea – è stato accettato dal 54,6% dei votanti.

La percentuale rispecchia più o meno quanto pronosticato dai sondaggi alla vigilia del voto. La tendenza allo sgretolamento del fronte favorevole agli accordi, registrata nel corso degli ultimi mesi, non è arrivata a mettere in serio pericolo il risultato. La vittoria del sì non è schiacciante, ma è chiara. Il rifiuto della costituzione europea da parte di Francia e Olanda non sembra aver influito molto sulle scelte degli svizzeri.

Tuttavia, dall’analisi territoriale del voto emerge la persistenza di un forte riflesso antieuropeista nelle regioni di campagna della Svizzera tedesca. In alcuni cantoni (Uri, Svitto, Glarona) i no superano il 60%, nell’Appenzello esterno sfiorano il 70%. E si conferma lo scetticismo del Ticino nei confronti di un avvicinamento all’Europa (61,9% di no).

Una Svizzera tedesca divisa

In favore di Schengen e Dublino hanno votato soprattutto i cantoni della Svizzera francese (con un picco del 70,9% a Neuchâtel) e le aree urbane. Il sì ha vinto non solo nelle grandi città della Svizzera tedesca, come Zurigo, Berna e Basilea, ma anche in molte città più piccole, tra cui i capoluoghi di alcuni cantoni che hanno respinto l’adesione (per esempio Coira nei Grigioni, Altdorf nel canton Uri, Frauenfeld nel canton Turgovia).

Guardando ai risultati nei cantoni si nota inoltre che l’area del sì supera il confine linguistico tra Svizzera francese e tedesca e lambisce i cantoni di Berna, Soletta, Basilea Città e Campagna. All’interno dell’area del no, che comprende tutta la Svizzera centrale e orientale, oltre al Ticino, fanno eccezione solo Zugo e Zurigo.

«Il risultato mostra che la Svizzera tedesca è piuttosto divisa», osserva il politologo dell’Università di Berna Georg Lutz. «Come già in passato, questa divisione ha fatto sì che il voto della Svizzera francese sia stato determinante per il risultato nazionale complessivo».

Voto sull’Europa

Ancora è difficile valutare quali siano stati gli argomenti decisivi per la vittoria del sì. Solo le analisi e le inchieste dei prossimi giorni e delle prossime settimane potranno dire quali timori ,quali speranze, quali riflessioni abbiano determinato il voto.

Oggi si può dire che lo spettro di una perdita di sicurezza e dell’aumento della disoccupazione, evocato dall’Unione democratica di centro (UDC), non sembra essere riuscito a far breccia. E d’altro canto, i discorsi sui vantaggi del visto di Schengen per il turismo non hanno convinto molte regioni periferiche che pure di turismo vivono.

L’impressione è che i votanti si siano fatti guidare soprattutto dal proprio atteggiamento generale verso l’Europa, o meglio verso i rapporti tra la Svizzera e l’Europa. Questo potrebbe spiegare perché i cantoni di frontiera, che pure con l’adesione a Schengen e Dublino dovranno affrontare situazioni simili, abbiano votato in modo diverso (sì a ovest, no a est e a sud).

Sconfitta per l’UDC

In ogni caso, il voto segna una sconfitta per l’Unione democratica di centro (UDC), protagonista di una campagna molto emotiva. «È vero che la campagna dell’UDC ha condotto a una forte partecipazione alle urne e questo può essere considerato un successo», commenta Georg Lutz. «Ma nella sostanza si tratta di un’ulteriore sconfitta. E questo alla lunga può diventare un problema per l’UDC».

Nel 1992 il partito aveva saputo interpretare gli umori profondi del paese, assumendo la leadership nella campagna contro l’adesione della Svizzera allo Spazio economico europeo. La vittoria ottenuta allora ha segnato una tappa fondamentale nella sua rapida ascesa.

Ma negli anni successivi l’UDC, pur riuscendo a mobilitare delle forti minoranze, capaci di influire sulle scelte politiche del paese, ha incassato una serie di sconfitte, dall’adesione all’ONU all’invio di soldati svizzeri all’estero. La maggioranza degli svizzeri ha preferito imboccare la via di una cauta e pragmatica apertura.

La partita però non è chiusa. Il 45,4% di voti contro Schengen e Dublino sono per l’UDC una base preziosa in vista della prossima battaglia: l’estensione dell’accordo sulla libera circolazione delle persone ai nuovi paesi dell’UE, sui cui i cittadini svizzeri saranno chiamati ad esprimersi il 25 settembre prossimo.

La campagna è già aperta. E la lotta si annuncia durissima. Tanto più che la libera circolazione suscita preoccupazioni anche in alcuni settori della sinistra, che temono il dumping salariale.

swissinfo, Andrea Tognina

Gli Svizzeri dell’estero hanno votato massicciamente in favore degli accordi di Schengen/Dublino.
Nei cinque cantoni che conteggiano separatamente i loro voti (Ginevra, Basilea città, Lucerna, Vaud e Appenzello interno), gli Svizzeri espatriati hanno fatto registrare proporzioni di sì superiori a quelle dei connazionali residenti nei 5 cantoni.
Nel semi-cantone di Appenzello interno hanno addirittura stabilito il primato svizzero, con l’80,6% dei consensi. I cittadini residenti di Appenzello interno hanno invece respinto gli accordi con il 68,5% di voti contrari.

Gli accordi di Schengen hanno fornito il quadro legale per la progressiva abolizione dei controlli delle persone lungo le frontiere interne dell’UE.

In cambio dell’apertura delle frontiere, essi prevedono una serie di misure per garantire la sicurezza dei paesi membri, tra cui il potenziamento dei controlli alle frontiere esterne, una migliore collaborazione transfrontaliera tra gli organi di polizia, la semplificazione della cooperazione giudiziaria e una politica comune in materia di visti.

La convenzione di Dublino fissa invece il principio secondo il quale un richiedente l’asilo può presentare una sola domanda d’asilo, in un solo paese dell’Unione.

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